martedì 21 agosto 2012

Alla fine dopo tre mesi qua capisci che


gli amerigani non sono poi così matti (in realtà lo sono), è che sono proprio di un altro mondo. Non lo scopri in quello che ti arriva via tv o via sentito dire, perché poi le domande non te le fai e lasci correre. Ma quando le stranezze te le vedi davanti, non puoi non chiederti robe tipo: perché alla Coop comprano il ghiaccio? Non possono farselo a casa nel freezer? Perché mettono secchiate di zucchero nel sugo? Perchè mandano l’aria condizionata in modalità Novosibirsk? Perché non hanno le tapparelle? Perché quando si gela girano in canottiera, infradito e calzoncini? Risposte cumulative: perché a loro piace così. Come facciano a sopravvivere è il vero mistero. 

L’America quotidiana, quella che dall’Italia non si vede, è fatta di vecchi pali della luce in legno dove si sente l’energia elettrica passarci attraverso come uno sciame di mille zanzare metalliche, è fatta di puzzole in giardino che non sono per niente come le dipingono (se ne stanno buone lì, mangiucchiano quiete e indisturbate), è fatta di gente che non conosci ma che ti saluta sempre per strada con un good morning strascicato (“mrnig”), è fatto di lavori lì per lì pagati cash, di jeepponi enormi che per salirci sopra devi essere Messner ma che si fermano sempre se devi attraversare la strada. La provincia amerigana è fatta di bus gratis con dentro la radiotrasmittente cb a banda cittadina, di prezzi che non sono mai quelli sul cartellino del negozio (sovrattassa alla cassa, ciccio), è fatta di una notte buia che più nera non si può e del bianco accecante di casette sull’oceano; è fatta anche di lavandini dove l’acqua fredda è solo fresca e quella calda è ustionante. Ci si può informare quanto si vuole prima di partire per gli Usa ma resta il fatto che non si arriva mai preparati in America: non puoi immaginare, ad esempio, di non trovarci odori. L’America è inodore. 

Comunque ho capito che la scoperta dell’America non dipende dalle miglia percorse in automobile o dal numero degli Stati visitati, ma dai dettagli, dice il buon vecchio Servegnini. Bon, direi che l’ho scoperta abbastanza. Magari la prossima volta la visito. Tra qualche anno però, eh? 


mercoledì 15 agosto 2012

Dagli estremi confini dell'impero d'oriente


I giornali di Martha’s Vineyard hanno in prima pagina l’enorme muso di uno squalo bianco, ma mica per la Jawsfest. Qui c’è n’è uno vero che sguazza da luglio in queste acque ed essere qui, nell’isola dello Squalo, mentre dopo 76 anni un pescecane enorme terrorizza (esagero, ma la mente vaga in fretta) Martha’s Vineyard e tutta Cape Cod è il massimo. E’ come andare sull’isola qui vicino di Nantucket e scoprire che c’è realmente una balena bianca furibonda al largo. E così, per completare l’opera, mi sono preso pure il libro (abbastanza piccolo) di Peter Benchley dal quale è stato tratto il film.

 Leggo sul sito del Corriere della Sera di Jovanotti che se ne va in America per un anno, a New York. Non so se dirgli “fermo, dove vai, sei matto!”, oppure no. 

L’altro giorno alla Morning Glory faccio a uno: avete vinto le Olimpiadi, contenti? La sua risposta: noi vinciamo in tutto. Oltre al mavaacaghè che è volato immediato mi sono anche chiesto come sia possibile tenere insieme su questa unica idea – semo i mijori ar mondo -  una nazione così gigantesca, con sei fusi orari diversi da New York a Los Angeles e un botto di gente che non sto neanche a guardare su Wikipedia quanti sono. Perché se c’è una cosa dove gli amerigani sono praticamente tutti uniti è il patriottismo. Cioè, non parlo di semplice difesa dei pregi del proprio paese, quella che anche noi abbiamo per l’Italia, ma una vera e propria devozione da Impero Galattico che fa paura.

Alle medie guardavo un sacco di wrestling su Italia Uno commentato da Dan Peterson e quando nel 1991 scoppiò la guerra del Golfo apparve un nuovo personaggio sul ring della World Wrestling Federation, tale Sergent Slaughter, un iracheno. Lo fecero combattere con l’eroe nazionale Hulk Hogan e ovviamente chi vinse? Figurarsi. Nel 1987 ci fu una crisi in Afhganistan con i russi di mezzo e nei cinema apparve Rambo III, con Stallone che andò tra le dune richiamato dal sergente Trautman (cioè lo zio Sam) a crivellare tutti. L’eroe amerigano che da solo vince contro tutti i russi e con un cacciavite in mano fa miracoli.  A proposito, avete notato che ora al cinema ri-spopolano i supereroi (ovviamente amerigani) dei fumetti?
L’altro giorno in tivù è andata una pubblicità del genere: scorrevano immagini di tutto quello in cui gli amerigani sono arrivati primi e ci hanno messo in mezzo pure il telefono inventato da Bell, quando invece l’ha inventato Meucci. E lì mi sono anche chiesto, ma cosa vuoi che ne sappia un bambino amerigano di Meucci se lo bombardano continuamente in tv con slogan rapidi e precisi sul fatto che il telefono l’ha inventato Bell? (sì vabbè ci sarebbe la scuola, ma a 'sto punto dubito anche dei libri amerigani)

A me piace un sacco la decadenza. Alle medie non vedevo l’ora di arrivare al punto del libro di storia dove cominciava a crollare l’Impero Romano d’Oriente, perché avevo già assaporato l’effetto sublime che faceva alle elementari. I primi saccheggi dei barbari agli estremi confini dell’impero, le prime crepe. Anche l’arrivo del Nulla ne La Storia Infinita, lo stesso effetto. Ma perché? Perché dentro la decadenza pregusto la rinascita, come il regno di Fantàsia. Chissà quando rinasceranno gli Usa. Boh, io intanto comincio a fare i pacchi, che è meglio.


giovedì 9 agosto 2012

Ah m'alora è sopravvissuta!


A Martha’s Vineyard la sensazione di “questo l’ho già visto ma non so chi è” ce l’ho sempre, forse perché un viso, a differenza dei nomi, tendo a non dimenticarlo. E quando sei alto così e un viso lo vedi tipo un centinaio di volte, merito del videoregistratore e di una cassetta VHS quasi consumata, poi non te lo scordi nemmeno quando in tutte quelle cento volte che l’hai vista lei aveva solo vent’anni e ora ne ha sessantacinque.


Ma come chi è? E’ Chrissie, la prima vittima de Lo Squalo, quella della scena d’apertura, quando un po’ sbronza va a fare il bagno di notte dopo una festicciola in spiaggia, viene azzannata sott’acqua e poi sballottata qua è là  http://www.youtube.com/watch?v=yrEvK-tv5OI. La scena madre, quella che tutti ricordano, forse anche perché lo squalo non si vede. E’ là sotto che strattona e il mostro quando non si vede fa più paura. Le urla di Chrissie furono talmente reali che non solo spaventarono Richard Dreyfuss quando vide per la prima volta la scena, ma consentirono anche allo squalo di fare un ingresso maestoso. [ in realtà è andata così: le hanno legato corpo e piedi a delle funi e poi da riva un gruppo di persone la tirava quà e là correndo sulla battigia, mentre un argano la tirava giù sott'acqua]. Il primo particolare che il mio cervello ha messo davanti nella fase di riconoscimento della persona è stata l’abbronzatura: è abbronzata esattamente come nel 1975 alla luce del falò sulla spiaggia. Poi la bocca, poi il naso, poi i capelli lunghi biondi, ovviamente tinti. L’ho riconosciuta subito, l'ho fermata per strada e via con la foto. Lì vicino c’era anche Carl Gottlieb, che ha recitato una piccola parte in M.A.S.H., ma che è stato soprattutto il co-sceneggiatore de Lo Squalo, dove è apparso anche come attore, tipo Hitckock quando s’infilava nei suoi film, e c'era anche Joe Alves, il produttore. Non sono previsti gli arrivi di Spielberg o di Richard Dreyfuss (l’oceanografo Hooper), mentre Robert Shaw (il burbero Quint) e Roy Scheider (il tenente Brody) sono morti. Non c’era nemmeno “Bruce”, ovvero uno dei tanti squali utilizzati nel set del film, ma ci sono parti di esso, credo un paio di pinne dorsali. Oggi qui è iniziata la Festa dello Squalo, che mancava dal 2005, una quattro giorni che celebra il film che ha cambiato la storia del cinema e pure quella di questa piccola isola del Massacchussets, che da dentro non è poi così tanto piccola. Del resto un'isola è un'isola solo se la si guarda dal mare. Pochi giorni fa nelle acque qui di fronte, a Cape Cod, un pescecane ha attaccato uno (scampato!) ed è la prima volta che succede negli ultimi 76 anni. L’ultima volta che uno squalo bianco ha attaccato una persona nel Massacchussets è stato nel 1936, e quella volta la vittima, un sedicenne, non scampò. Ma tra tutti gli anni, proprio quando vengo io lo squalo bianco riprende a rompere le balle?

domenica 5 agosto 2012

La nebbia in agosto, John Lennon e il paninaro



La nebbia ad agosto mi mancava nella mia collezione. Tocca vederle tutte. Per due mattine di fila Edgartown sembrava Londra, circondata da una brughiera un po' Sleepy Hollow e un po' mastino dei Baskerville. Ah dì.

All’Harbor Inn, un hotel lussuoso che sta di fronte al faro, c’era la mostra dei disegni di John Lennon, due dollari l’offerta minima per entrare. Dopo pochi minuti avevo già fatto alcune foto, sei o sette, quando mentre stavo zoomando su un foglio di carta con su scritta a mano da John Lennon la canzone Give Peace a Chance , uno della sicurezza mi si mette davanti tipo Causio su Maradona ai Mondiali dell' '82, vietandomi di farla e indicandomi il cartello “no photo” in basso rasoterra alla base della porta d’entrata, in modalità battiscopa. No ma mettilo più in basso quel cartello, che si vede proprio. Se vuoi, mi fa, puoi comprare una stampa della canzone scritta a mano da John Lennon e allora mi fiondo subito a prenderla per un regalo, quando vedo il prezzo: 1.800 dollari. Elamadonna. Per una stampa formato A4? Me la faccio a casa col pc.  Molti disegni di John Lennon sono disegnati con lo stile dei sinogrammi giapponesi, con pennello e inchiostro di china, ed infatti sembrano una calligrafia. Ecco, più dei suoi disegni, mi ha colpito la sua scrittura a mano: c’erano gli scritti di 25 canzoni e la sua calligrafia era molto più vicina ad un disegno di quanto non lo fossero i disegni stessi. In Asia la calligrafia è la forma più alta di pittura e allora sì può dire che sì, John Lennon sapeva anche disegnare: c’erano anche due disegni erotici che crearono scandalo in America nel 1970 e che vennero censurati ovunque, ma adesso evidentemente no, fanno bella mostra insieme agli articoli dei giornali all’epoca dei fatti. Mi viene sempre in mente che quando ci sono queste cose, lo scandalo e l’articolo con la critica, alla lunga nel tempo la vince sempre il primo. Comunque la mostra era curata da Yoko Ono – ecchissennò? – ma lei non c’era (non avevo dubbi).

Al ritorno il bus era guidato da uno che sembrava uscito dal 1987. Big Babol in bocca, zazzera alla Fausto Salsano, baffi tipo Terraneo e quando incrociava per strada gli altri bus della sua stessa linea salutava il guidatore con l’indice teso, alla maniera di Enzo Braschi quando diceva wild boys, wild boys. Trooooppo giusto. http://www.youtube.com/watch?v=Sv_WD2rG1Vo

giovedì 2 agosto 2012

Agosto, comincia la stagione degli uragani, 'nnamo bbene...


L’altro giorno siamo tornati dove siamo sbarcati, a Vineyard Heaven, l’entrata principale per Martha’s Vineyard. Era il 4 giugno e sembra un anno fa, c’erano sì e no 10 gradi, si bubbolava e pioveva tipo Londra, inoltre i cell non funzionavano e noi, nel deserto assoluto di un porticciolo sull’Atlantico con un clima novembrimo, dovevamo aspettare una per venirci a prendere e che avevamo sentito solo per mail. Non avremmo scommesso una lira che si sarebbe materializzata di lì a poco. 

Comunque a Vineyard Heaven ci ritorniamo dopo due mesi qua, giusto per vedere com’è, e nel prendere il bus dal centro di Edgartown vedo una scena da film, anche abbastanza d’impatto: un carcerato, in ciabatte, portato per un tratto di strada da un poliziotto verso il tribunale, ammanettato e incatenato anche ai piedi, che procedeva con passi stanchi e ravvicinati, con i capelli lunghi e unti, ciondolante, sembrava destinato al patibolo. Il fatto è che una scena del genere in Italia non te l’aspetti di vederla per strada, magari vicino ad una caserma toh, ma non con i turisti a pochi metri.
Preso il bus, linea n°1, la strada per Vineyard Heaven è tutta dritta e quando il guidatore accende la radio e senti lo speaker ripetere le frequenze della WMVY, sembra veramente di stare in America. Le stazioni radio della parte Est iniziano con la W, quelle dell’Ovest con la K, non chiedetemi il perchè. Comunque a Vineyard Heaven non è che ci sia poi molto da visitare, è una Edgartown in miniatura, ma più tendente a Twin Peaks. E’ forse la cittadina più americana dell’isola, ha una sua periferia isolata dove magari ci trovi anche il cadavere di Laura Palmer. Sono andato a vedere una galleria di arte contemporanea, solo che di contemporaneo aveva soltanto i visitatori: magari trovo di meglio domenica, quando a Edgartown ci sarà una mostra di disegni di John Lennon. Al ritorno in bus il cielo si aperto ed è venuta giù una cascata d’acqua che sarà durata per 7 ore, pensavo che si sarebbe allagata tutta l’isola e che l’appartamento sarebbe galleggiato via alla deriva e invece niente, qui il terreno assorbe tutto. Siamo in Agosto e nella costa Est degli Stati Uniti inizia la stagione degli uragani: c’era una mappa su Internet con le zone in allerta da ora fino a ottobre circa, comprende tutta la costa degli Usa da New Orleans fino al Maryland nei pressi di Washington. Fiuuu, noi siamo più in su, anche se in biblioteca c’è un biglietto sinistro, un manuale sul come fare in caso di uragano. Ci manca solo quello.

martedì 31 luglio 2012

Fermati e Compra, la Coop de noantri dove se sbagliano i conti non paghi la spesa


Lo sport nazionale serve per capire le budella di un paese. Il baseball, la conquista della casa base, cuscinetto dopo cuscinetto, come il football americano, centimetro dopo centimetro, è la lotta per prendersi le terre dell’Ovest che questo popolo ha fatto alla fine dell’Ottoccento (e in Italia siamo così difensivisti perchè  siamo un popolo che è stato invaso da tutti, sempre in trincea a proteggere i propri confini come Cannavaro). Volevo capire le budella di Martha’s Vineyard anche attraverso lo sport, ma qui sembrano solo correre tutti. E quindi? Quindi mi metto a guardare i volti e in un’isola così scarsamente popolata per centimetro quadrato il maggior assembramento di gente è allo Stop & Shop, Fermati e Compra, la Coop de noantri, che fortunatamente è di fronte a casa nostra. C’è da dire che gli amerigani mangiano solo per buttare roba dentro allo stomaco, fanno la spesa solo una volta a settimana e dunque caricano i carrelli in maniera spropositata. Guardare nel carrello della spesa di un amerigano è peggio che vedere un film splatter. Io mi fido solo della Barilla. Una volta che ho azzardato un sugo non barilliano l’ho sputato dopo due secondi: vallo ad immaginare che gli amerigani nel sugo ci mettono quintalate di zucchero. 

Comunque i primi volti che mi hanno colpito allo Stop & Shop sono quelli appesi ad un muretto vicino alle casse, fotografati con la bandiera americana in posa da reduci del Vietnam. Sono quelli che lavoravano lì e sono passati a miglior vita, intendo che sono morti, non che hanno cambiato lavoro. Alle casse sono sempre in due, uno che fa i conti e l’altro che imbusta: nessuno supera i 20 anni. Mi sono chiesto perché, poi mi sono voltato verso la gente che c’era dietro di me e mi sono ricordato dei carrelli stracolmi. Talmente stracolmi che serve un addetto per imbustare la roba. Far la spesa in Italia è anche fermarsi a chiacchierare due secondi con chi si conosce, ma qui no. Sono focalizzati sull’obiettivo e così l’amerigano in cerca del marshmallow sembra Terminator in cerca di Sarah Connor, non si fermerà finché non raggiungerà il suo scopo. Lo vedi con gli occhi fissi, individua la preda, si dirige lì con il suo carrello in modalità spazzaneve e prende la roba che deve prendere. Missione compiuta, avanti col prossimo obiettivo. Al di fuori dello Stop & Shop tutti ti salutano, dentro, a meno venti gradi, diventano tutti predatori.
La caratteristica dello Stop & Shop è che se il cassiere o la cassiera sbaglia a fare il conto, la spesa non la paghi. Ci vuole dell’abilità nell’individuare lo sbaglio in uno scontrino lungo chilometri districandosi tra sconti e offerte, ma c’è chi ci riesce e ne ha fatta una vera professione, come uno che ci ha spiegato quante volte riesca a farla franca. Per me sceglie appositamente i conti complicati per indurre allo sbaglio e uscirne sempre con la spesa gratis.
Io non ho speranze, entro allo Stop & Shop per prendere solo un sugo, come possono sbagliarsi? E infatti non si sbagliano mai. Davanti allo Stop & Shop vedo uno sui settantanni che sembra chiamare l’autobus e invece fa l’autostop. E’ la prima volta che vedo uno di quell’età fare l’autostop. Io sono troppo vecchio per farlo, prendo l’autobus va.



martedì 24 luglio 2012

Come ho già scritto qualche tempo fa, l’isola di Martha’s Vineyard è una zona protetta


da tutte le industrie in serie che colonizzano l’America: Starbucks, McDonalds eccettera qui sono offlimits e solo ad una piccola catena di gelati, la DQ che credo voglia dire Dancin’ Queen ma forse anche no, è stato dato il permesso di aprire il proprio negozietto sull’isola, ma solo perché è un loculo di pochi metri quadrati e quindi non è per niente invasivo. E’ vietato anche tagliare alberi o quant’altro, dunque moltissime case sull’isola, fuori dal centro cittadino, sono letteralmente immerse dalla vegetazione, che è fittissima e di un verde scuro tipo Foresta Nera. E se sono buie adesso, in pieno giorno e in piena estate, figurarsi in autunno e in inverno quando fa notte prima. Non ci sono cartelli pubblicitari, le insegne dei negozi sono ridotte al minimo. E anche l’illuminazione. A Martha's Vineyard sono preservati anche i vecchi lampioni, sembrano quelli che c’erano a Rimini nel dopoguerra, che poi sono anche gli stessi che ho visto da piccolo, quelli che illumivanano solo con un'ellisse alla base del palo. Tutt’attorno buio pesto. Ora non c’è più quasi alcuna differenza tra il giorno e la notte, Rimini è illuminata ovunque di sera con lampioni supermoderni con led a basso costo e luci tipo a San Siro, ma 20-25 anni fa non era certo così, ancor di più nella Barafonda rispetto a Rimini centro. Il buio era veramente nero, faceva paura andare nel retro non illuminato del condominio, dove si annidavano mille mostri (forte!).Qui ho rivisto quel buio.


Questa foto non è stata scattata in campagna, ma un sabato sera nel centro di Edgartown. Non c’è neanche bisogno che ci sia qualcuno affacciato alla finestra, vero? La mente già lavora per noi e ci aggiunge da sola il personaggio che vuole, oppure anche niente, ma dietro quelle finestre lì succede comunque qualcosa. Ma non si tratta solo di questo. Il fatto è che un buio del genere dà anche un cielo stellato che non avevo mai visto prima, se non al planetario alle elementari, solo che quello era finto, riprodotto sul soffitto. Qui infatti non si vedono solo le stelle, ma si vede anche il pulviscolo stellare tra di esse, anche se purtroppo non è fotografabile (ci ho provato, ma niente, mi ci vorrebbe un telescopio digitale portatile): sembra di vedere l’intera via Lattea e il merito è solo di questo buio che più buio non si può. Il massimo per uno cresciuto a pane e zio Tibia. Quando il wi-fi becca in casa è dunque anche l’occasione giusta per vedere la sera su Youtube i film di Dario Argento degli anni 70: l’Uccello dalle piume di cristallo, Profondo Rosso, il Gatto a nove code, Quattro mosche di velluto grigio, Tenebre, Dèmoni, eccetera. Non fanno certo paura come il buio della Barafonda dei primi anni 80.
Un'altra caratteristica dell’isola sono anche i fili degli impianti elettrici, con le dinamo giganti appese sotto le intersezioni dei pali di legno a forma di “T” e che si possono vedere in qualsiasi film amerigano ambientato negli anni sessanta. Da noi mica ci si accorge quando la corrente passa tra i fili, avviene tutto in silenzio. Qui invece si sente, come un nugolo di zanzare metalliche che ti passano sopra la testa.

sabato 21 luglio 2012

Oggi siamo tornati ad Oak Bluffs per il torneo di caccia agli squali

che accalca sul molo centinaia e centinaia di persone per vedere issati i pescecani su di un trespolo che sembra una ghigliottina. Nelle settimane scorse, come penso tutti gli anni, sono fioccate le polemiche su questo torneo e c’erano sul molo tre o quattro cartelli di protesta su questo divertimento legato all’uccisione di un animale: in acqua c’era uno, avrà avuto 60 anni, con la barba lunga bianca tipo Gandalf che vogava una canoa di protesta, credo fosse un hippy originale, proprio di quei tempi là. Tutt’attorno invece sembrava Montecarlo durante il Gran Premio di Formula Uno: avete presente tutte quelle imbarcazioni stralusso con sopra gente di stralusso che si guarda distratta le corse dalle barche sfoggiando tutto lo sfoggiabile? Ecco, così. Tutti con il loro Energy drink a portata di mano, i vestiti eleganti etc… etc… etc… insomma nulla che possa attirare la mia attenzione, che normalmente si disattiva quando vede una massa di gente tutta uguale, tutta con la stessa pettinatura ,tutta con la stessa massa e pure con la stessa intonazione nel parlare (qui negli Usa si parla solo ad una tonalità, non sembrano avere picchi o variazioni, non hanno una parlata musicale per niente). C’è veramente qualcosa di inquietante nel vedere questa massa di gente che si comporta tutta alla stessa maniera, sembrano tutti usciti da una fabbrica di plastica, tranne un tizio che sembrava quello della Bistefani che fa Babbo Natale e che prima di venire al molo dipingeva sotto il suo portico, e un altro che portava il berretto da reduce del Vietnam.

Oh, arriva la prima barca con lo squalo! Lo speaker biascica qualcosa che non capisco, la folla ulula, passano l’argano a bordo e tirano su la bestiaccia sul trespolo che sembra una ghigliottina, per la pesa. E’ uno squalo volpe: quand’ero alto così e non sapevo ancora leggere mi imparavo tutto sugli squali e sui dinosauri e dunque sono un esperto in materia, ma uno squalo volpe lo riconosce chiunque, è quello con la coda lunghissima. Sale alla pesa e l’equipaggio ulula alle libbre che escono fuori, si scolano l’ennesima birra della giornata e danno credito alle loro magliette che c’hanno la scritta “Ubriaco n°1”, “Ubriaco n°2”, “Ubriaco n°3”, “Ubriaco n°4”. Arriva una seconda barca, ancora la folla ulula, ancora l’argano, un altro squalo volpe, più piccolo del precedente e dunque mi dispiace equipaggio, sarà per un'altra volta perché per ora è in vantaggio la barca degli ubriachi. Ne arriva una terza, questa volta tira su uno squalo mako, testa più appuntita, file di denti affilati come lame distribuite a caso come i bastoncini dello shangai. Anche la quarta ha un mako e poi basta, ce ne andiamo. Nessuno squalo bianco, il vero mostro dei mari che qui mi sa non prendono da una vita perché leggendo il tabellone dei risultati è tutto un mix di squali volpe, mako e magari qualche smeriglio. E allora forse il nome del torneo, Monster Shark Tournament, è l’ennesima americanata, perché qui di mostri non se ne vedono. Ma credo anche che uno squalo di 4 metri sia normale se lo vedi steso su un molo, ma se te lo ritrovi in acqua è molto ma molto ma molto più grande. Gnam.

Sul molo di Oak Bluffs mentre attendo le barche con gli squali. Sono in leggerissimo anticipo

venerdì 20 luglio 2012

Sì sì mo' me lo segno


Forse questa nuova generazione di amerigani qualcosina in più sa, a parlarci si capisce che qualcuno almeno s’informa su quello che succede fuori dai loro confini, ma generalmente la massa resta ancora statiuniticentrica, non sa dove si trovi la Serbia, non sa chi è Fellini e magari credono pure che gli altri continenti girino attorno all’America. Lo capisci quando ci parli perché non ti danno un minimo aiuto nel capire le cose nella loro lingua: quando uno straniero viene in Italia l’italiano lo aiuta facendosi spiegare, parlando semplice o addirittura provando a parlare nella lingua del vacanziero. Ora il tedesco a Rimini ha lasciato il posto all’inglese, ma 20 anni fa quante volte un riminese si sforzava a parlare qualche parola di tedesco per spiegare al crucco di turno come fare e dove andare? Qui in Usa no. Qui esiste solo l’inglese ed esiste solo la legge del ‘o lo capisci, o non lo capisci’. Ma non siamo mica gli americani, che loro possono sparare agli indiani, vacca gli indiani...pum..pam...pum. Comunque a seconda delle zone da dove provengono, gli amerigani parlano in maniera medio-lenta, veloce o in modalità Usain Bolt. Con i primi non c’è alcun problema, con i secondi si capisce l'essenziale, con i terzi è un parto. Parlano talmente veloci che sembra dicano una sola parola tuttattaccata di dieci righe e quando gli dici che non hai capito, loro ti ripetono esattamente quello che hanno appena detto alla stessa identica velocità. ‘Ma allora sei scemo’, ti viene da pensare. ‘Ti ho appena detto che non ho capito e te me lo ripeti uguale?’. Ma niente, non ci arrivano. Esiste solo l’inglese. E così quando dicono “pepepepipipipepepepepepipipipepezizidoyouundestand?”. rispondo come Troisi in Non ci resta che piangere: “sì sì, mo’ me lo segno, non vi preoccupate” http://www.youtube.com/watch?v=eBP9QDSr0HI 

Un'altra roba degli amerigani è la loro combustione interna, credo che vadano a carbone, che la mattina si carichino a badilate di combustibile tipo le fornaci del reparto macchine del Titanic quando il capitano indica di andare a tutta velocità, altrimenti non si spiega perchè girino con calzoni corti, infradito e magliettina a maniche corte con fuori dieci gradi e una pioggerellina battente tipo novembre. Non si spiega perchè ti servano un bicchiere d'acqua con 10 cubetti di ghiaccio, gelata a tal punto che lo stato solido vince su quello liquido e dunque è l'acqua a trasformarsi in ghiaccio e non viceversa; non si spiega perchè sparino l'aria condizionata in modalità Antardide, anche in un posto costantemente fresco come questo. Io in giornate come quelle di oggi mi metto addosso due strati di ogni roba, quasi quasi anche di calzini, mentre in giro qui vedi gente in canotta con l'immancabile bicchiere di brodaglia fumante in mano (ma fare colazione a casa no?). Tra l'altro piove a dirotto e girano senza alcuna copertura, sembrano quasi contenti di bagnarsi tutti. A m'alora gli ombrelli cosa li facciamo a fare?

martedì 17 luglio 2012

Centouno gradi! Oggi fa un po' caldino anche qui


Leggendo il Boston Globe sono finalmente venuto a contatto con le famose paginone di strisce americane ed ho capito perché l’incomparabile Bill Watterson, creatore di Calvin & Hobbes, ha smesso di farle. Gli spazi si sono così talmente ridotti che i fumetti amerigani si sono trasformati in teste che parlano e poco altro, perdendo completamente ogni distinzione grafica e ad un geniaccio del disegno come lui non puoi segargli le strisce con l’accetta. Tra l’altro la mania di trascrivere la calligrafia del fumetto con i caratteri del computer li rovina ulteriormente; possibile che non capiscano che la calligrafia è disegno e ne è parte insostituibile?  Comunque gli amerigani la domenica dedicano quattro pagine piene ai fumetti incastrandoci dentro a modello tetris 25 strisce diverse e in un momento di crisi dei giornali come questo riuscire ancora a riservare quattro pagine giganti per i fumetti, senza dentro alcun tipo di pubblicità, è un bel merito. Sono impaginate alla boia e resto dell’idea che per impaginare la pagina dei fumetti serva uno del campo dei fumetti per dare fluidità di lettura e senso estetico a stili così diversi, però sono pur sempre quattro pagine giganti! Olè. 


Tra le graphic novel ho scoperto anche un autore che non conoscevo, David Small. Mi sono divorato il suo mattonazzo “Stiches” in un’ora lampo e chissà se l’hanno tradotto in Italia perché merita alla grande. Penso che appiccicherò un'amaca nel reparto Fantascienza della libreria di Edgartown, perchè ci sono cose che noi umani in Italia non possiamo ancora immaginare, ma perchè ancora non le hanno tradotte, mica per altro. Oggi è certamente il giorno più caldo dell’estate. Il Boston Globe spara 101 gradi sul titolone a nove colonne. Fahreneit, eh…? Anche la costante brezza dell’oceano Atlantico oggi se n’è andata da un’altra parte e così non si sta. Venerdì a Oak Bluffs c’è la gara di caccia agli squali; ci si piazza sul molo facendo a gomitate tra un botto di gente per vedere le barche rientrare in porto ed issare le prede sul molo. Visto che il torneo si chiama Monster Shark Tournament, speriamo di vederne uno degno di questo nome.

P.S. Tre puzzole (mamma e due cuccioli) sono appena passate sotto la mia finestra. Speriamo che non abbiano mangiato fagioli.

sabato 14 luglio 2012

Il grande amico di Jim Belushi è nostro vicino di casa, mentre il candidato alla Casa Bianca si scatena all’Atlantic


Oggi rientramo dopo otto ore e mezzo alla Morning Glory con un solo unico pensiero: doccia. Arriviamo a due metri da casa quando un pizzetto mefistofelico appare dal suo giardino di casa. E’ lui, ‘Trader Fred’ Mascolo, lo ricordate vero? Ci chiede se gli possiamo dare una mano a postare una piccola barchetta che ha parcheggiato davanti all’uscio di casa. No problem, Fred. Vado dietro a spingere la barchetta e ne leggo anche il nome: Gabriel’s Blue. Olè. Una volta fatto, ci chiede di fermarci per una mezzoretta ad aiutarlo, una mezzoretta che poi diventano due ore: sarebbe da smoccolare a raffica per la giornata lavorativa che si allunga fino a dieci ore e mezza, se non fosse che qui dare una mano significa anche venir pagati. E così il buon Fred, grande amico di Jim Belushi, entra a casa sua (una semi-bettola, sempre meglio comunque del suo negozio), si ripresenta sull’uscio con il suo bel mazzo di dollaroni tenuti insieme da una graffetta dorata che fa molto americano tipo Gei Ar, ci paga e ci offre una Pepsi a testa invitandoci nella sua veranda, e anche questo fa molto amerigano. Tira fuori il cellulare e comincia a mostrarci foto e video di lui e Jim Belushi, di foto di attori come Dan Akroyd, Owen Wilson, Jerry O’Connell e altri e di spezzoni di trailer dove lui ha recitato in piccole parti. Perché Fred Mascolo del Trader Fred’s è anche un attore amerigano (mi ha fatto anche vedere la tesserina, tipo Agis…), anche se detta così è esagerato. Ha recitato in quattro film (ma su Google ne ho trovati solo due), con parti microscopiche, ha una ragazza colombiana da fantascienza e ci ha fatto vedere un articolo del Boston Globe che parla di lui che recita insieme a Jim Belushi nella commedia della CBS “The Defenders” e che recentemente ha avuto una piccola parte nel prossimo film di Belushi, che esce in America ad agosto con il titolo “The Switch”.
E insomma tra una Pepsi e un’altra gli mollo lì anche la richiesta di autografo di Jim Belushi, gli do’ la mia mail e chissà se se lo ricorda degli autografi. Intanto abbiamo incassato un po’ di verdoni non facendo praticamente nulla. Butta via.

A Martha’s Vineyard quando giri per strada ogni cinque minuti ti fai sempre la stessa domanda: “questo l’ho già visto da qualche parte ma non so chi è”. Magari incontri quello che ha fatto una particina in un film famoso, magari incontri quello che hai visto in Italia sui giornali, magari incontri quell’altro che era la spalla di tizio nel film che non mi ricordo quale. Se ho incontrato dei personaggi noti, insomma, non lo so, ma probabilmente sì. Uno che conosciamo l’altra sera ha incontrato all’Atlantic John Kerry. L’Atlantic è praticamente l’unico locale di Edgartown e John Kerry nel 2004 concorreva alla Presidenza degli Stati Uniti contro Bush. Ecco, se lo incontro per strada John Kerry mi viene da dire: “questo devo averlo già visto da qualche parte, ma non so chi è. Probabilmente era quello che faceva l'agente dell'FBI in Ralph Supermaxieroe”. http://www.youtube.com/watch?v=1pdkYWJPgCA

martedì 10 luglio 2012

Cose umane


Prendo come pretesto questo post del grande Sergio Tavcar, Cose Umane, con il quale condivido soprattutto la storia del telefono (e spiega perché non ho Facebook o soscial netuorc vari), per parlare un po’ di ‘sti amerigani. Corrispondere non vuol certo dire scambiarsi battute scarne senza distinguo né approfondimenti, dire semplicemente mi piace o non mi piace, scrive il grande Sergio, ed è quello che a volte (molte volte) succede con gli amerigani con cui parlo quotidianamente. Lo snocciolamento continuo di “Oh, i like it!” “Oh, cool!” “Oh, awesome!” ad ogni cosa che si dice è sempre un'interruzione nella discussione. Tu dici, ad esempio, “ieri sono andato al mare”, e loro rispondo “Oh, straordinario!”. E poi cosa vuoi rispondere ad una risposta del genere? Non c’è continuità nei discorsi, devi aprire un argomento nuovo, stando ben attento agli attacchi continui di “Oh, i like it!” “Ooh, cool!” “Ooh, awesome!” che ti possono colpire a tradimento in ogni occasione. Alzare le barriere di sicurezza per difendersi dagli attacchi degli “ooh, i like it!” è come spalare l’acqua con un rastrello: s’infilano ovunque. Non è così invece con i serbi (Zeljko, Vuk, Zorana, Nemanja) o chi è metà italiano e metà americano, come Diana che però si scrive Deanna, che è mezza calabrese e si parla anche in italiano. Con loro le conversazioni (comunque quasi sempre in inglese) scorrono via fluide, non stagnano mai e qui penso che agisca la storia o la matrice europea, come se nel Dna ci fosse un chiave d’accesso europea dormiente che si attiva quando si è in un altro continente. Sempre dallo scritto del grande Sergio: Interagire vuol dire per me essere uno davanti all'altro, parlare, fare gesti, guardare una persona negli occhi per capire se è veramente convinta di quanto sta dicendo o sta semplicemente recitando un copione, vuol dire tentare di provocarla sul momento nell'intimo per conoscerla meglio e poi decidere se considerarla un amico con cui confidarsi o semplicemente una persona che non ci interessa.
Altro aspetto, gli Ipod. Qui ce li hanno incollati fisso alle orecchie. Trovo abbastanza inconcepibile correre ascoltando l’Ipod, mi toglie il suono di tutto quello che mi circonda e toglie anche altre cose che gli “ipodisti” poi si perdono. L’altro giorno ero vicino ad un boschetto e sento un fruscio. Aspetto un paio di minuti e ne sento un altro. Poi un terzo. Aspetto ancora e dopo dieci minuti, accortisi che non c’era pericolo, ecco uscire tre daini a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro. Mi giro e vedo gente con l’Ipod che non s’è accorta di niente. Oh, forse non gli interessava neanche vedere tre daini uscire da un boschetto, ma a me sì. E se non stavo attento ai rumori che mi circondavano, chi li avrebbe mai visti? Ancora col grande Sergio Tavcar:
“da quanto appena detto mi rendo perfettamente conto di essere un relitto dei tempi che furono completamente fuori dal mondo attuale. Ma volete sapere una cosa? Come diceva quello: fermate il mondo che voglio scendere. A volte mi sembra di esserne già sceso e la cosa mi riempie di una specie di perverso orgoglio.”


domenica 8 luglio 2012

Dopo più di un mese qui ho scoperto che gli autobus sono gratis. Un vero segugio.


Cioè, sono gratis all’interno delle cittadine, mentre quando si va da un villaggio all’altro si paga. Il fatto è che certe cose le dai per scontate e allora mica ti viene in mente di pensare che i bus da un posto all’altro della stessa cittadina si possono prendere gratis: basta fare un segno per strada tipo autostop che il conducente ferma l’atam e ti fa salire. Questo accorciamento dei tempi ha fatto diventare la biblioteca il mio quartier generale nei giorni di riposo, anche perchè quella di Edgartown è la biblioteca ideale, almeno per me. Ci sono 4-5 persone al massimo e puoi veramente immergerti nella lettura, tra l’altro con vista sulla stradina che dà sull’oceano. Lì mi leggo, a tranci, l’ultima fatica del mio idolo Craig Thompson http://www.dootdootgarden.com/ , ‘Habibi’, una graphic novel mattonazzo di 600 pagine. 


 Lì organizzo la giornata che al 90% è sempre mare, anche perchè è a due metri da lì. Lì sono arrivato per la prima volta a contatto col New York Times ed è andato in scena l’atto primo di come smontare un mito in dieci secondi, come il cane Chopper in Stand By Me.
Non solo graficamente non vale neanche lontanamente i giornali italiani, ma s’è pure beccato un cratere colossale nello sport, cannando clamorosamente la notizia di Steve Nash ai Lakers, data invece da tutti gli altri quotidiani disponibili della zona e che si possono leggere in biblio, ovvero il Boston Globe, il Boston Herald e il Financial Times. Tu leggi il New York Times per la prima volta e ti imbatti subito in buco del genere e allora il mito finisce subito e ‘sta cosa rimarrà impressa sempre. I giornali locali ancora peggio: il 5 luglio non mettono nulla sulla parta del giorno prima. Vabè che qui la concorrenza non c'è (sull'isola ci sono un quotidiano e un settimanale), ma almeno due righe scrivicele, no!? Nello sport l’altro giorno c’era la notizia dei risultati di due nuotatori di Martha’s Vineyard agli Assoluti di Riccione, che ci sono stati mesi e mesi fa. Se la prendono comoda con le notizie…  C’è invece la notizia che uno squalo è stato avvistato a pochi metri dalla costa della cittadina di Aquinnah, fortuna che è da tutt’altra parte dove ho fatto il bagno l’altra volta. Devo ancora capire il significato del colpo di cannone che viene sparato sull’oceano nel pomeriggio: poteva essere il segnale di una determinata ora, ma viene sparato alla boia. Un giorno alle 16.30, l’altro alle 15, quello dopo alle 16.45. A caso. Comunque basta che non mirino a me e possono spararlo all'ora che vogliono.

giovedì 5 luglio 2012

La parata del 4 luglio dove sfila anche il giornalista che ha scritto più di 55 articoli sul giornale locale. Avessi detto...




Ieri ho assistito al mio primo 4 luglio americano, con addosso la maglia di Del Piero che fa la linguaccia, il cuore italiano e le tre stelle dei trenta, e sottolineo trenta, scudetti della Juve. Eravamo in pochi a non avere addosso qualcosa di americano: chi le bandierine sventolanti, chi la maglietta, chi la tuba modello Abramo Lincoln,chi le collanine, chi il cagnolino, tutti avevano vestiti a stelle e strisce, edifici compresi, avvolti tutti da stendardi e coccarde bianche rosse e blu. Sembrava l’Italia dopo la vittoria dei Mondiali, anche per quantità di gente che si è riversata nelle strade. Sui giornali dicono che a Martha’s Vineyard ieri sono arrivate 80.000 persone: forse hanno un po’ sparato, ma erano un sacco comunque.
La parata del 4 luglio si è aperta con l’immancabile sfilata militare e qui giù di urla e grida trionfalistiche, che stonavano con i cartelli che inneggiavano alla pace e alla libertà americana... vabbè... libertà e pace...come cantava Guzzanti/Venditti ne Il Grande Raccordo Anulare, "a mettecce na' scritta su un cartello sso' bboni tutti". Comunque ci sono stati carri di tutti i tipi; a me la roba che ha colpito è uno che sfilava con un cartello che diceva: “ho scritto più di 55 articoli per il Martha’s Vineyard Gazette”. Non gli ho detto che, facendo una botta di conti, ne scritti più di 3.000, altrimenti si sarebbe suicidato. Ma qui è così, celebrano di tutto ed è il lato della riconoscenza uno degli aspetti positivi di qui e lo si vede anche alla fine di una giornata lavorativa, dove tutti ti fanno i complimenti e c’è quasi come una sorta di terzo tempo rugbistico dove si condividono le fatiche di una giornata. Qui il merito e la riconoscenza si toccano proprio con mano ogni giorno ed è una cosa che si spera torni ad esserci anche in Italia. Comunque chi per una cosa, chi per un’altra, qui ognuno viene celebrato da tutta la città: sfila la squadra giovanile di calcio che ha vinto il campionato regionale, sfila quella di baseball dell’high-school che magari non ha vinto una partita che sia una, sfila il carro della nuova libreria dalla quale sto scrivendo e che ha aperto poche settimane prima che arrivassi qui. Sfilano tutti. Alla sera poi ci sono stati i fuochi d’artificio al faro di Edgartown. Se dalla parata mi aspettavo esattamente quello che ho visto, dai fuochi mi aspettavo qualcosina di più per essere una festa di questo genere. Bene, ma non benissimo. Ci stavano come il cacio sui maccheroni le frecce tricolori, ma quelle ce le abbiamo soltanto noi. Di foto e video ne sono stati fatti un sacco, anche perchè è stato il primo e probabilmente ultimo 4 luglio che vedo sul suolo americano, ma è sulla via del ritorno a casa, a parata conclusa e mentre tutta la marea di gente stava per lasciare il centro di Edgartown, che è arrivata la foto migliore di tutte.


Bernie Lomax di Weekend con il morto!

martedì 3 luglio 2012

Arriviamo ad Oak Bluffs tramite una manna, due mountain bike apparse all’improvviso che quantomeno ci risparmiano i 7 dollari per il bus (butta via)


Oak Bluffs dista da Edgartown una mezzoretta in bici, tutta fatta in una ciclabile tra boschi e dieci chilometri di vista su una zona dell’oceano chiamata Nantucket Sound, e vorrei anche scoprire perché lo chiamano così e quale sia questo suono di Nantucket (forse quello delle balene?). A Oak Bluffs assisto al rito di iniziazione dei pre-adolescenti di Martha’s Vineyard, il salto dal ponte dello Squalo. Non so da noi quale sia il rito di iniziazione di un gruppo preadolescenziale, forse rubare qualcosa da un negozio quando si hanno circa 12-13 anni e uscirne fuori trionfanti. Qui quelli che sono ancora alle medie si piazzano su un ponte che separa la zona di Edgartown da quella di Oak Bluffs e si buttano sotto in un’insenatura dell’oceano con un salto di una decina di metri, che quando hai quell'età e non hai ancora saltato ti possono sembrare anche centomila. Si chiama il ponte dello Squalo perché qui ci hanno girato una scena del film, quella dove il mostro s’infila nel canale e viene segnalato da una pittrice solitaria che sta lì a disegnare sulla spiaggia. Alcuni non ce la fanno a buttarsi di sotto e stanno sopra per decine e decine di minuti, altri vanno di modalità kamikaze con il salto “a bomba”. Ma tutti loro sono lì, perché qualcosa li chiama: il salto dal ponte dello Squalo qui è una cosa che non si può evitare, come la crescita. O salti o verrai saltato.


Comunque è vero che qui a Martha’s Vineyard ogni cittadina è completamente diversa dall’altra ed ha una sua anima a sé stante: se Edgartown è la zona delle case di legno tutte bianche, quasi tutte appartenute ad ex balenieri, Oak Bluffs è la zona pittoresca, con tutte le case colorate in maniera diversa ed ha una zona portuale molto più movimentata e ricca di gente di differenti estrazioni. Ci sono anche due teatri, uno tipo modello film americani, che a Edgartown non ci sono, e questo la dice tutta. Anche la gente è molto diversa, benché le due cittadine siano separate da pochissimi chilometri: a Edgartown sembrano tutti Richie Cunningham (pelle emaciata e pettinatura da college), a Oak Bluffs sono tutti diversi, ci sono molte più razze ed è una gran bella sensazione da We Are The World, come alla Fiera del Libro di Bologna. A Martha’s Vineyard tutti ma proprio tutti ti dicono “buongiorno” quando ti incrociano e così la mia quantità di good morning giornaliera raggiunge livelli da infiammazione delle corde vocali. Qui, per una sorta di espiazione con il loro modo di mangiare (alla boia), corrono tutti, anche le giovani mamme mentre stanno portando il passseggino aereodinamico. E così corre anche il passeggino e il bambino che c'è dentro diventa una specie di frullato. Comunque finora Oak Bluffs batte Edgartown 10-0 netto.

lunedì 2 luglio 2012

Tipo John Cusak in quel film che non mi ricordo il titolo a diffondere l'inno di Mameli a Edgartown




‘Che il quattro sia con voi’ è stato un po’ troppo alla lettera. Come da tradizione Italia-Spagna è stata vista alla libreria di Edgartown, che siccome era domenica, era chiusa: dunque la postazione era sugli scalini appiccicati alla porta d’ingresso, perché lì il segnale wi-fi va a manetta. Ho sparato il volume al massimo sull’inno di Mameli che così si è sentito in mezza Edgartown, l’ho tenuto sparato per tutta la telecronaca ed ad un certo punto una rossa che probabilmente stava al calcio come Fassino sta al decathlon ci ha chiesto pure  quanto stava. Non gli interessava mica il risultato, secondo me, forse era un messaggio indiretto per dire che il volume l’avevo sparato un po’ troppo alto nella pacifica isola di Amity. Ma vuoi mettere il gusto di diffondere l’inno di Mameli più o meno così, tipo John Cusak in quel film che non mi ricordo il titolo? 


Comunque alla richiesta della furia rossa stava già 2-0 e poi è finita come è finita. Ah dì, avrà vinto anche la Spagna, ma alla Morning Glory tutti tifavano Italia. E gli spagnoli per starci dietro in questo aspetto altro che ticchete-tacchete- tacchete-ticchete: perché qui se dici Spagna non ottieni alcuna reazione, mentre se dici Italia tutti fanno “ooooh” come i bambini di Povia.

venerdì 29 giugno 2012

Che il quattro sia con voi!


Qui il motto di Guerre Stellari, ‘che la forza sia con te’  (May the Force Be With You), per la festa dell’Indipendenza lo trasformano in May The Fourth Be With You, 'che il quattro sia con te',  tra l’altro applicabile anche alle mie pagelle del liceo. Eh già, perché la prossima settimana si festeggia il 4 di luglio e alla Morning Glory ci hanno già messo in allerta che a Martha’s Vineyard sbarcherà un bordello di gente. In allerta? E’ chiaro che non sanno cosa sia Rimini in estate. Tarati da tre decenni di Ferragosti riminesi, cosa vuoi che sia un po’ di gente a Martha’s Vineyard. Nella strada principale di Edgartown c’è uno stendardo che pubblicizza i fuochi d’artificio al faro, ma non è tanto l’evento in sé, quanto come è scritto lo striscione. Così.


Proprio come nei film, anche quelli di Bud Spencer e Terence Hill, quelli girati in America tipo uno Sceriffo Extraterrestre poco extra e molto terrestre. Chissà perché gli striscioni delle piccole cittadine americane hanno tutti gli stessi caratteri, anche nel corso dei decenni. E’ questa forse la prima vera roba americana che vedo dopo un mese, anche perché ormai i jepponi si vedono anche da noi. Sì perché Martha’s Vineyard è America per modo di dire, è più una specie di zona protetta, protetta dalle esagerazioni e dalle cose in serie dell'America stessa. Per mantenere intatto lo spirito e la struttura dell’isola qui sono proibite catene tipo McDonald’s, non ci sono insegne pubblicitarie, figurarsi i neon tipo Times Square. A dire la verità ci sono anche altre cose che qui non si vedono: non ci sono gatti per strada, non ci sono i crackers nei negozi, non ci sono semafori e non ci sono i bidoni della mondezza. Cioè, ne abbiamo uno nel giardino di casa, ma fuori in tutta l’isola non c’è, roba che se hai un pezzo di carta da buttare te lo devi portare in tasca fino a che non ritorni. Non ci sono fontanelle per l’acqua. Non c’è il vento caldo, ma in compenso c’è il vento costante. Penso sia una prerogativa di tutte le isole, comunque. Mentre via internet leggo di Caronte che soffoca l’Italia, qui c’è la brezza dell'Atlantico che rende gradevoli tutte le giornate assolate. C’è l'ha detto anche il guardiano del faro di Edgartown, un altro, che evidentement faceva il turno della guardiana dell'altra volta, e appena ha saputo che eravamo italiani è tornato dentro al faro a mettere sù a tutto volume un disco di Bocelli. Qui dire di essere italiano sembra equivalere a dire di essere un cavaliere jedi. Che la forza sia con Prandelli.

martedì 26 giugno 2012

Al Trader Fred's, una via di mezzo tra uno dei peggiori bar di Caracas e i baracchini riminesi dove si trovano conoscenze inimmaginabili


Oggi a Martha’s Vineyard montano nuvoloni bianchi all’orizzonte che sembrano come panna montata, una dritta e un pomeriggio libero di cazzeggio ci portano verso una zona inesplorata di Edgartown, vicino casa. C’è da trovare il Trader Fred’s, un negozio con prezzi stracciatissimi, una mosca bianca in un’isola come questa dove tutti i prezzi sono alle stelle: qui ci dicono che le magliette costano 5 dollari e altre robe mirabolanti hanno prezzi ridicoli. E’ da provare. Il Trader Fred’s mi appare davanti improvvisamente, una via di mezzo tra il peggiore bar di Caracas e i baracchini che vendono roba da mare davanti alla spiaggia di Rimini. Dentro, effettivamente, i prezzi sono ridicoli e già comincio a salivare e a prendere nota. Ad un certo punto spunta fuori Fred, il proprietario, un tipo basso, tarchiatello con folti capelli neri e pizzetto; quando sa che veniamo dall’Italia, in particolar modo da Rimini, ci porta con sé nel suo sgabuzzino e ci consegna in mano un’eredità da leggere dei suoi parenti, datata 1909. Il motivo per cui questo tizio tenga nel retrobottega, buttata lì, un'eredità del 1909, ingiallita e scitta in una impagabile calligrafia corsiva da bell'epoque resta un mistero, o forse 'sta in certa 'smanaggine' degli amerigani, che in molte cose fanno tutto un butta sù: anche alcune case di Martha's Vineyard, che da fuori sembrano bomboniere da matrimoni, dentro sono tutt'altro. Comunque si scopre che suo padre è pugliese (cognome Mascolo) e sua mamma viene addirittura da Forlì! Scatta immediatamente l’unione da paisà italiani che qui è fortissima, così come quella della comunità serba: ci regala subito due cappellini verdi del Trader Fred’s e due specie di felpe antivento, roba che se la compravamo al centro di Edgartown spendevamo 100 dollari a testa. Fred è seguito da un cane lupo e quando gli chiedo il nome del cane parte un’altra storia da Martha’s Vineyard: si scopre infatti che il cane gli è stato regalato da Jim Belushi, che è un suo grande amico. Ci fa sapere che ci è andato a cena insieme giusto pochi giorni fa. A Martha’s Vineyard la famiglia Belushi è di casa, qui c’è la tomba del fratello, John Belushi, e qui Jim viene ogni estate. Lo conoscete Jim Belushi, no? E' quello del telefilm 'La vita secondo Jim' o dei film 'The Principal, una classe violenta', 'Danko' e un 'Poliziotto a quattro zampe'. “Per qualsiasi cosa abbiate bisogno, io sono qui per voi!” ci fa sapere entusiasta Fred e la prima cosa che la mia mente diabolica ha pensato è ottenere quantomeno un autografo da Jim. 


Nel controsoffitto del Trader Fred's ci sono moltissime foto di personaggi famosi, che non conosco, tutte con dedica. Tantissimi sono i giocatori di hockey dell'NHL degli anni 80 e tra gli amici di Fred c'è anche l'attore premio Oscar Ernest Borgnine, anche lui figlio di genitori italiani, di cognome Borgnino: ha recitato in 'Da qui all'Eternità', 'Quella Sporca Dozzina', 'il Mucchio Selvaggio'. Ma per me rimarrà sempre il tassista di Jena Plissken  http://www.youtube.com/watch?v=UrYK94L-VM0

domenica 24 giugno 2012

Tanto tempo fa in una galassia lontata lontana... Nuovo capitolo del surfista di Santa Barbara che vuole conquistare il mondo con il the


Ricorderete certamente il vicino di Santa Barbara che vuole conquistare il mondo con il Boston Tea Party. Bene, quelle robe erano niente in confronto alle nuove su di lui. L’altro giorno ci ha chiesto in prestito 10 dollari e i primi pensieri sono stati: ok, non li rivedremo più. Passano i giorni e niente, vabè, che vuoi che siano 10 dollari. E invece l’altro ieri ci chiama allo steccato: non solo ce li ha restituiti, ma per ringraziarci del prestito ci ha anche offerto in mano due piatti che contenevano una cena con spaghetti, cappe sante con sopra il caviale e il ‘lobster’, che è una mini aragosta; in più ci ha dato anche una bottiglia di vino bianco, un Forestville Pinot grigio della California (leggo l’etichetta, eh? Mica sono esperto di vini). Ma anche questo è niente in confronto a quello che sto per scrivere: è venuto fuori che questo surfista californiano agli inizi degli anni Ottanta è stato sposato con l’attrice Carol White, che non conosco, ma che era praticamente la Brigitte Bardot inglese (potete vedere le sue foto su internet), nonché ex ragazza o moglie di Frank Sinatra, Richard Burton e Warren Beatty.
Il surfista californiano di Santa Barbara e la Brigitte Bardot inglese hanno vissuto per quattro anni a Londra in uno stabile di proprietà di Paul McCartney e ha incontrato e parlato parecchie volte con John Lennon. Potrei fermarmi qui, se non fosse che il bello deve ancora venire. All’epoca ‘sto qui era un carpentiere e tramite le conoscenze di sua moglie ha avuto l’occasione di ristrutturare la villa di George Lucas, il regista di Guerre Stellari e della saga di Indiana Jones (e dato che c’era ha conosciuto anche Steven Spielberg). Forse non tutti sanno che Harrison Ford, prima di essere lanciato come attore dallo stesso Lucas, era un carpentiere. E Lucas, proprio come fece con Harrison Ford e in evidente delirio da carpentieri, propose al questo surfista californiano di diventare un suo attore: e lui cosa ha risposto? Di no! Comunque in quel periodo il surfista stava anche per scrivere la sceneggiatura di un film, venutogli in sogno un notte come una folgorazione sulla via di Damasco. Spinto dalla moglie attrice a completare la sceneggiatura, e forte della conoscenza che aveva (e sottolineo aveva) con George Lucas, decise poi di lasciarla nel cassetto per… 30 anni! L’ha ripresa in mano proprio in queste settimane (quando moglie, George Lucas e contatti con Hollywood sono ormai svaniti da decenni) e ci ha già detto la trama del film. Ma questa non posso scriverla adesso, merita un post a parte... Chiaro, viene il dubbio che queste siano delle autentiche...



...ma ho controllato su internet ciò che ci ha detto e il fatto che sia stato sposato con la Brigitte Bardot inglese è certificato. Dunque temo che sia vero pure tutto il resto.

giovedì 21 giugno 2012

Il primo tuffo nell'oceano in pieno giunnaio


Il primo bagno nell’oceano è coinciso con il primo giorno ufficiale d’estate, che qui è stato anche il primo giorno di vero caldo, 33 gradi. Vero che siamo a fine giugno, ma qui la definizione migliore per questo mese è ‘giunnaio’, perché fino all’altro ieri di mattina c’erano temperature da primi dell’anno e la vera stagione balneare parte dal 4 di luglio, se il tempo è propizio.
L’oceano sa di poveracce, quantomeno nella zona del porticciolo: l’odore è lo stesso che c’è allo squero di Rimini, quell’inconfondibile mix di cime piene di salsedine e nafta (dicasi ‘cima’la corda di un'imbarcazione). Dicevano che quassù l’acqua è freddissima ma non è mica vero: ho fatto 3-4 tuffi ed è esattamente come a Rimini a giugno, solo più pulita. Cambiano solo i pensieri perché, seppur vicino alla riva, quando sguazzi in queste acque non puoi non pensare a questo http://www.youtube.com/watch?v=UPEHygqoKZU

Fino ad ora l’unico inconveniente dell'oceano è il fondale pieno di sassi tondi e lisci, che a fatica ti fanno stare in piedi. Non che facciano male, ma rendono la camminata un percorso ad ostacoli. Si conferma la sensazione che ho avuto qualche giorno fa: qui non esiste la salsedine, quantomeno non come da noi e anche l'acqua dell'oceano è molto meno salata di quella dell'Adriatico; se ti va negli occhi non brucia per niente e sembra quasi di stare in piscina. Quando si cammina su questa sabbia sembra di camminare sullo zucchero di canna, ha la sua stessa consistenza e colore. A riva ci sono carapaci di animali che sembrano arrivare da un altro tempo, come se l’oceano fosse una porta spazio-temporale sul Paleozoico: in spiaggia ci sono esoscheletri di quelli che probabilmente sono granchi, ma che sembrano in tutto e per tutto delle trilobiti di era preistorica.
La spiaggia è come quella di Fiorenzuola di Focara, stretta ma più lunga, e all’ombra del faro di Edgartown. Ecco, qui c’è l’incontro che ti fa capire come il mondo non è piccolo ma è microscopico. Si parla del più e del meno con la guardiana del faro di Egartown, che si occupa anche di quello della vicina cittadina di Aquinnah, quando spunta uno che al sentire nominare la parola “Rimini” s’intromette nella discussione, dicendo che lui viene da Toronto e che recentemente è stato dalle nostre parti per partecipare alla Nove Colli. Qui a Martha’s Vineyard sto tizio va in giro con la maglia con su scritto Hotel Belvedere di Riccione…

Una roba veramente strana è che qui i gabbiani (enormi) mica stanno al mare, ma sono nell’entroterra, sempre che su un’isola piccola esista un’entroterra. Qualche ‘cocalo’ si vede anche nella zona del porto, ma a bazzicare la spiaggia sono soprattutto falchetti e uccelli tutti rossi che non sono riuscito ad identificare.

mercoledì 20 giugno 2012

Anche Obama ha apprezzato i gelati di Marta la matta


Ancora non ho capito chi era la Marta di Martha’s Vineyard, ma di sicuro non era Marta la matta, perché qui ci è capitata duecento anni dopo che gli Stati Uniti hanno chiamato quest’isola così. Marta la matta si chiamava Martha Mallory ed era nata a New York nel 1880. Dopo essersi laureata ad Harvard incontrò Horace e stettero assieme diversi anni. Ma quando arrivò il 1929 Horace perse il lavoro e la casa e non avendo il coraggio di dirlo a Marta, decise di lasciarle un messaggio e di non rivederla mai più. Marta improvvisamente si trovò abbandonata e con problemi finanziari, ritornò a New York, si chiuse in sé stessa e i bambini del quartiere la prendevano in giro cantandogli “Marta la matta! Marta la matta! Dove vuoi andare, Marta la matta?”
Fu in questo periodo che Marta la matta incontrò Irving, lo sposò e da lui imparò a fare gelati. Quando Irving morì, Marta ripiombò nella depressione e così decise di venire a Martha’s Vineyard, dove prese a fare gelati per la gente durante le feste che c’erano sull’isola. La fama di Marta nel fare gelati crebbe velocemente sull’isola. Lei morì nel 1950, ma in suo onore nel 1971 nacque il Mad Martha’s Homemade Ice Cream, dove pure Obama si è pappato il suo bel gelato l’anno scorso. Tutti quelli che sono venuti negli Usa mi hanno detto che i gelati fanno schifo, che sono fatti di plastica e che sarebbe opportuno scriverci sopra la scritta 'infiammabile'. Ecco, qui a Martha's Vineyard posso dire che non è così, sono tutti buoni e forse il merito di questa differenza sta tutto nell'arrivo sull'isola di Marta la matta, che matta non era. I veri matti sono tutti gli abitanti di qui che alle 7 della mattina con 10 gradi se ne vanno in giro con canottiera, infradito e calzoncini corti e quando bevono un bicchiere d'acqua ci mettono dentro 7-8 cubetti di ghiaccio.In compenso, per pareggiare, nei rubinetti o nelle docce non hanno l'acqua calda, hanno l'acqua ustionante, con tanto di cartello-warning: 'attenzione, qui l'acqua calda è veramente molto calda'. Fare la doccia a Martha's Vineyard è un allenamento da pugili: ti butti sotto il getto di acqua ustionante e lo schivi immediatamente, almeno per venti volte. Solo così riesci a sciaquarti completamente.


Comunque quando Marta la matta arrivò, a Martha’s Vineyard una persona su quattro era sorda a causa di una malattia. C’erano poche famiglie qui, si sposavano solo tra di loro e così la malattia si diffondeva. Fu quando le leggi di Mendel preserò corpo nei primi del Novecento che venne favorita l’immigrazione a Martha’s Vineyard per permettere l’ingresso di nuove persone che, unite con quelle dell’isola, generassero bambini sani. In pochi decenni la percentuale di sordità dell’isola si pareggiò a quella normale degli gli Stati Uniti.

domenica 17 giugno 2012

Ognuno insegue la sua balena bianca. Saluti da casa Achab


La maggior parte delle case sull’oceano a Martha’s Vineyard hanno una piccola balena nera sopra l’uscio della porta perché questa, oltre all’isola che l’isola dello Squalo, è anche una cittadina di antichi balenieri. C’è però una casa che sopra l’uscio della porta ha una balena di un colore diverso, è  bianca. E’ stata la casa di un certo Capitano Valentine Pease, comandante dell’Acushnet, la baleniera sulla quale Melville, l’autore di Moby Dick, è salpato nel 1841. Si dice che il Capitano Valentine Pease abbia ispirato Melville per la figura di Achab e che questa casa al numero 80 di South Water Street, con vista sull’oceano, sia la casa del cacciatore della balena bianca. Qui ci ha vissuto anche l’attrice premio Oscar Patricia Neal.
Prima della casa del capitano Achab c’è il più vecchio albero di pagoda degli Stati Uniti, così almeno c’è scritto. E’ stato portato dalla Cina nel 1837 da un certo capitano Thomas Milton per la sua nuova casa a Martha’s Vineyard. All'anima dell'ornamento da giardinaggio.

Assistere ad una messa in una chiesa americana credevo fosse più strano. Avevo in testa i racconti di chi ha assistito a messe gospel e pensavo di trovare una cosa simile, con canti e cori a squarciagola tipo concerto. In verità in verità vi dico, è stata più o meno uguale alla nostra, a parte lo stringersi la mano che viene fatto all’inizio e a parte la cantante che aveva una voce incredibile, sembrava quella di Edie Brickell in Circle. La messa era dedicata al famoso giornalista Walter Cronkite che aveva casa qui. Quando si esce dalla messa il prete ti aspetta fuori e dà la mano a tutti: io gli ho detto che venivo dall’Italia, anche lui come il tipo fuori dalla biblioteca ha spalancato gli occhi alla Totò Schillaci e mi ha detto: “tu vieni dalla patria del Boss!” Di chi!?? Gli faccio. Il Boss, il Papa! Al che in italiano gli faccio: "diobò ti credo, se non è un Boss lui". Non so cos’abbia capito, comunque era simpatico e come al solito ogni volta che vado a messa (una volta l’anno) sto in pace. Chissà perché.

Torno sul fatto dell’italiano. E’ talmente facile da capire l’inglese che ci ho rinunciato e così ormai alla Morning Glory una cosa sì e una no la dico in italiano. Il bello è che gli americani mi rispondono in italiano pure loro: le parole con le r calcate sono le più gettonate, tipo bagherozzo.

sabato 16 giugno 2012

The dark side of the strawberries


Alla Morning Glory sabato c’è stato il Festival delle fragole. Festival è una parola grossa, c’era un banchetto dove il cuoco che assomiglia a Doc di Ritorno al Futuro cuoceva hamburger per tutti e massimo una cinquantina di persone si radunavano tutte attorno per la loro porzione giornaliera di colesterolo. Il loro arrivo, a dir la verità, sembrava un ricevimento di Obama: tutti macchinoni enormi neri e una macchina della polizia modello Robocop con l’immancabile cattivissimo poliziotto a veicolare i chayenne dentro la fattoria. Ti chiedi chi mai stia per uscire da quei mostri enormi, poi quando si aprono le portiere esce della gente inversamente proporzionale alle macchine che guidano. Sono proprio come le fragole, che ti fregano nell’apparenza: ti fanno vedere sempre il loro lato più rosso e luccicante, poi quando le giri per prenderle sù ti accorgi che dall’altra parte sono tutte bianche o bacate. Non so perché mi è venuto in mente Gianni Togni e il suo luna non mostri solamente la tua parte migliore ma so che questo non è mai applicabile alle fragole. Comunque quando trovo una penna alla fattoria scriverò sui muri in latino evviva le donne evviva il buon vino.
Alla Morning Glory gli spray anti insetti sono le rondini. Non so come facciano, ma quando arrivi, arrivano anche loro, in una flottiglia di almeno quindici unità per ogni persona: ti planano davanti ad una velocità supersonica, a volte senti le loro ali sfiorarti gli occhiali e non sono per niente fastidiose perché sanno quando esattamente  quando virare (comunque speri sempre che tutte siano nel pieno delle loro facoltà visivo-percettive, altrimenti ti si schiantano in faccia). Ti proteggono meglio di uno zampirone e probabilmente a fine giornata non si riescono più ad alzare in volo dalla panza che hanno.
Alla libreria di Edgartown l’altro giorno arriva uno con l’immancabile jeppone enorme nero e si ferma proprio davanti all’ingresso. Chiede informazioni e al mio consueto ‘sorri aim italian aim not spic inglish veri uell” fa due occhi alla Totò Schillaci e incomincia a tessere lodi del nostro paese; dice che c’è stato in vacanza nel 1951 a Palermo e a Genova dove vedeva la gente cantare per strada, parla dell’opera italiana e di quello grosso che cantava la lirica. Chi, Pavarotti? Gli faccio. E lui ‘no no, quell’altro”. Ah, ho capito, e tergiverso e ci riprovo… intendi… Pavarotti! E lui, sì sì, lui lui, Pavarotti! Penso che bere la birra di mattina faccia male.  

Siamo sì a Martha's Vineyard ma siamo anche nella contea di Duke, e siccome l'altro giorno nella strada di casa ho beccato questo
 spero sempre dopo il Generale Lee di trovare anche la fattoria di Bo e Luke!

giovedì 14 giugno 2012

Il surfista di Santa Barbara che vuole conquistare il mondo con il the



 'Attenti agli squali' è un cartello che c’è nelle vetrine di diversi negozi, giusto per ricordare che Edgartown è pur sempre l’isola di Amity. C’è l’ufficio del consiglio cittadino dove il tenente Brody entra per mostrare la foto del pescecane alle autorità locali che non ci credono (Lo Squalo 2), c’è il corridoio che dà alla stanza dove il cacciatore di squali Quint graffia la lavagna (Lo Squalo 1), c’è la stazione di polizia e il negozio da dove esce il vecchietto per segnalare a Brody che alcuni ragazzi gli hanno rovinato la staccionata. Cartelli e piccole insegne ricordano che questa è quell’isola lì. C’è anche uno ‘Squalo Tour’, dove ti caricano su un pulmino e ti portano a vedere tutte le location del film: quello che mi preoccupa è che non c’è scritto il costo. Perché qui certi prezzi sono da ricovero: una pizza 20 dollari, un hamburger 16 dollari, un mojito 15 dollari e non che me ne freghi molto dei mojiti, ma è giusto per paragonare un robino alto mezzo centimetro che si consuma in 2” netti con un costo del genere. Se li possono tenere tutti, i mojiti. Alla Morning Glory metto in scena dei memorabili espropri proletari di fagioli: in un piatto ci faccio stare chili di roba, manco Renzo Piano edificherebbe delle strutture simili che riescano a stare in perfetto equilibrio l’una sull’altra. Devo ancora abituarmi al fatto che qui tutti, ma proprio tutti, ti fanno passare quando vedono che stai per attraversare la strada sulle strisce pedonali, che poi non sono neanche strisce e sono tutte colorate di verde. Non c’è un semaforo, non ho visto un’insegna che sia una della Coca Cola e non ci sono McDonald’s. A volte mi chiedo se ho preso l’aereo giusto e sono realmente in America.

L’altro giorno il nostro vicino surfista di Santa Barbara ci ha offerto due tranci di pizza francese. Evidentemente cercava rogne: che giudizio vuoi che ti dia un italiano su di una pizza francese fatta da un californiano in Massacchussets? Sempre lo stesso surfista di Santa Barbara ci ha parlato del suo progetto megalomane di conquistare l’America con il the: ha preso un the sudafricano e 800 bottigliette di vetro, poi ha fatto l’etichetta con su scritto Boston Tea Party e vuole venderlo in tutti gli States partendo da Martha’s Vineyard. Il the sa di sciroppo per la tosse e l’etichetta è palesemente una copia di quella della Coca Cola, ma lui è convinto che chiamandolo Boston Tea Party conquisterà il Massacchussets e il mondo intero. 

Mi sono chiesto come facciano a mantenere intatte queste case bianchissime in legno sull’oceano in un’isola sferzata dai venti dell’Atlantico e da non poche perturbazioni; dovrebbero essere tutte rovinate. Poi ho visto muratori che sostituivano le assi di legno con altre nuove ed è probabile che questa pratica la facciano molto spesso. Qui la sabbia è a granuli più grandi e non sembra esistere la salsedine. Intendo dire che quando vado a fare due passi alla Darsena della Barafonda torno a casa che sembro Branduardi. Qui no, sembro uscito da uno spot del Badedas. Sono nella libreria di Edgartown in attesa di Italia – Croazia in streaming. Frittatona di cipolla, famigliare di Peroni gelata e rutto libero.