venerdì 29 giugno 2012

Che il quattro sia con voi!


Qui il motto di Guerre Stellari, ‘che la forza sia con te’  (May the Force Be With You), per la festa dell’Indipendenza lo trasformano in May The Fourth Be With You, 'che il quattro sia con te',  tra l’altro applicabile anche alle mie pagelle del liceo. Eh già, perché la prossima settimana si festeggia il 4 di luglio e alla Morning Glory ci hanno già messo in allerta che a Martha’s Vineyard sbarcherà un bordello di gente. In allerta? E’ chiaro che non sanno cosa sia Rimini in estate. Tarati da tre decenni di Ferragosti riminesi, cosa vuoi che sia un po’ di gente a Martha’s Vineyard. Nella strada principale di Edgartown c’è uno stendardo che pubblicizza i fuochi d’artificio al faro, ma non è tanto l’evento in sé, quanto come è scritto lo striscione. Così.


Proprio come nei film, anche quelli di Bud Spencer e Terence Hill, quelli girati in America tipo uno Sceriffo Extraterrestre poco extra e molto terrestre. Chissà perché gli striscioni delle piccole cittadine americane hanno tutti gli stessi caratteri, anche nel corso dei decenni. E’ questa forse la prima vera roba americana che vedo dopo un mese, anche perché ormai i jepponi si vedono anche da noi. Sì perché Martha’s Vineyard è America per modo di dire, è più una specie di zona protetta, protetta dalle esagerazioni e dalle cose in serie dell'America stessa. Per mantenere intatto lo spirito e la struttura dell’isola qui sono proibite catene tipo McDonald’s, non ci sono insegne pubblicitarie, figurarsi i neon tipo Times Square. A dire la verità ci sono anche altre cose che qui non si vedono: non ci sono gatti per strada, non ci sono i crackers nei negozi, non ci sono semafori e non ci sono i bidoni della mondezza. Cioè, ne abbiamo uno nel giardino di casa, ma fuori in tutta l’isola non c’è, roba che se hai un pezzo di carta da buttare te lo devi portare in tasca fino a che non ritorni. Non ci sono fontanelle per l’acqua. Non c’è il vento caldo, ma in compenso c’è il vento costante. Penso sia una prerogativa di tutte le isole, comunque. Mentre via internet leggo di Caronte che soffoca l’Italia, qui c’è la brezza dell'Atlantico che rende gradevoli tutte le giornate assolate. C’è l'ha detto anche il guardiano del faro di Edgartown, un altro, che evidentement faceva il turno della guardiana dell'altra volta, e appena ha saputo che eravamo italiani è tornato dentro al faro a mettere sù a tutto volume un disco di Bocelli. Qui dire di essere italiano sembra equivalere a dire di essere un cavaliere jedi. Che la forza sia con Prandelli.

martedì 26 giugno 2012

Al Trader Fred's, una via di mezzo tra uno dei peggiori bar di Caracas e i baracchini riminesi dove si trovano conoscenze inimmaginabili


Oggi a Martha’s Vineyard montano nuvoloni bianchi all’orizzonte che sembrano come panna montata, una dritta e un pomeriggio libero di cazzeggio ci portano verso una zona inesplorata di Edgartown, vicino casa. C’è da trovare il Trader Fred’s, un negozio con prezzi stracciatissimi, una mosca bianca in un’isola come questa dove tutti i prezzi sono alle stelle: qui ci dicono che le magliette costano 5 dollari e altre robe mirabolanti hanno prezzi ridicoli. E’ da provare. Il Trader Fred’s mi appare davanti improvvisamente, una via di mezzo tra il peggiore bar di Caracas e i baracchini che vendono roba da mare davanti alla spiaggia di Rimini. Dentro, effettivamente, i prezzi sono ridicoli e già comincio a salivare e a prendere nota. Ad un certo punto spunta fuori Fred, il proprietario, un tipo basso, tarchiatello con folti capelli neri e pizzetto; quando sa che veniamo dall’Italia, in particolar modo da Rimini, ci porta con sé nel suo sgabuzzino e ci consegna in mano un’eredità da leggere dei suoi parenti, datata 1909. Il motivo per cui questo tizio tenga nel retrobottega, buttata lì, un'eredità del 1909, ingiallita e scitta in una impagabile calligrafia corsiva da bell'epoque resta un mistero, o forse 'sta in certa 'smanaggine' degli amerigani, che in molte cose fanno tutto un butta sù: anche alcune case di Martha's Vineyard, che da fuori sembrano bomboniere da matrimoni, dentro sono tutt'altro. Comunque si scopre che suo padre è pugliese (cognome Mascolo) e sua mamma viene addirittura da Forlì! Scatta immediatamente l’unione da paisà italiani che qui è fortissima, così come quella della comunità serba: ci regala subito due cappellini verdi del Trader Fred’s e due specie di felpe antivento, roba che se la compravamo al centro di Edgartown spendevamo 100 dollari a testa. Fred è seguito da un cane lupo e quando gli chiedo il nome del cane parte un’altra storia da Martha’s Vineyard: si scopre infatti che il cane gli è stato regalato da Jim Belushi, che è un suo grande amico. Ci fa sapere che ci è andato a cena insieme giusto pochi giorni fa. A Martha’s Vineyard la famiglia Belushi è di casa, qui c’è la tomba del fratello, John Belushi, e qui Jim viene ogni estate. Lo conoscete Jim Belushi, no? E' quello del telefilm 'La vita secondo Jim' o dei film 'The Principal, una classe violenta', 'Danko' e un 'Poliziotto a quattro zampe'. “Per qualsiasi cosa abbiate bisogno, io sono qui per voi!” ci fa sapere entusiasta Fred e la prima cosa che la mia mente diabolica ha pensato è ottenere quantomeno un autografo da Jim. 


Nel controsoffitto del Trader Fred's ci sono moltissime foto di personaggi famosi, che non conosco, tutte con dedica. Tantissimi sono i giocatori di hockey dell'NHL degli anni 80 e tra gli amici di Fred c'è anche l'attore premio Oscar Ernest Borgnine, anche lui figlio di genitori italiani, di cognome Borgnino: ha recitato in 'Da qui all'Eternità', 'Quella Sporca Dozzina', 'il Mucchio Selvaggio'. Ma per me rimarrà sempre il tassista di Jena Plissken  http://www.youtube.com/watch?v=UrYK94L-VM0

domenica 24 giugno 2012

Tanto tempo fa in una galassia lontata lontana... Nuovo capitolo del surfista di Santa Barbara che vuole conquistare il mondo con il the


Ricorderete certamente il vicino di Santa Barbara che vuole conquistare il mondo con il Boston Tea Party. Bene, quelle robe erano niente in confronto alle nuove su di lui. L’altro giorno ci ha chiesto in prestito 10 dollari e i primi pensieri sono stati: ok, non li rivedremo più. Passano i giorni e niente, vabè, che vuoi che siano 10 dollari. E invece l’altro ieri ci chiama allo steccato: non solo ce li ha restituiti, ma per ringraziarci del prestito ci ha anche offerto in mano due piatti che contenevano una cena con spaghetti, cappe sante con sopra il caviale e il ‘lobster’, che è una mini aragosta; in più ci ha dato anche una bottiglia di vino bianco, un Forestville Pinot grigio della California (leggo l’etichetta, eh? Mica sono esperto di vini). Ma anche questo è niente in confronto a quello che sto per scrivere: è venuto fuori che questo surfista californiano agli inizi degli anni Ottanta è stato sposato con l’attrice Carol White, che non conosco, ma che era praticamente la Brigitte Bardot inglese (potete vedere le sue foto su internet), nonché ex ragazza o moglie di Frank Sinatra, Richard Burton e Warren Beatty.
Il surfista californiano di Santa Barbara e la Brigitte Bardot inglese hanno vissuto per quattro anni a Londra in uno stabile di proprietà di Paul McCartney e ha incontrato e parlato parecchie volte con John Lennon. Potrei fermarmi qui, se non fosse che il bello deve ancora venire. All’epoca ‘sto qui era un carpentiere e tramite le conoscenze di sua moglie ha avuto l’occasione di ristrutturare la villa di George Lucas, il regista di Guerre Stellari e della saga di Indiana Jones (e dato che c’era ha conosciuto anche Steven Spielberg). Forse non tutti sanno che Harrison Ford, prima di essere lanciato come attore dallo stesso Lucas, era un carpentiere. E Lucas, proprio come fece con Harrison Ford e in evidente delirio da carpentieri, propose al questo surfista californiano di diventare un suo attore: e lui cosa ha risposto? Di no! Comunque in quel periodo il surfista stava anche per scrivere la sceneggiatura di un film, venutogli in sogno un notte come una folgorazione sulla via di Damasco. Spinto dalla moglie attrice a completare la sceneggiatura, e forte della conoscenza che aveva (e sottolineo aveva) con George Lucas, decise poi di lasciarla nel cassetto per… 30 anni! L’ha ripresa in mano proprio in queste settimane (quando moglie, George Lucas e contatti con Hollywood sono ormai svaniti da decenni) e ci ha già detto la trama del film. Ma questa non posso scriverla adesso, merita un post a parte... Chiaro, viene il dubbio che queste siano delle autentiche...



...ma ho controllato su internet ciò che ci ha detto e il fatto che sia stato sposato con la Brigitte Bardot inglese è certificato. Dunque temo che sia vero pure tutto il resto.

giovedì 21 giugno 2012

Il primo tuffo nell'oceano in pieno giunnaio


Il primo bagno nell’oceano è coinciso con il primo giorno ufficiale d’estate, che qui è stato anche il primo giorno di vero caldo, 33 gradi. Vero che siamo a fine giugno, ma qui la definizione migliore per questo mese è ‘giunnaio’, perché fino all’altro ieri di mattina c’erano temperature da primi dell’anno e la vera stagione balneare parte dal 4 di luglio, se il tempo è propizio.
L’oceano sa di poveracce, quantomeno nella zona del porticciolo: l’odore è lo stesso che c’è allo squero di Rimini, quell’inconfondibile mix di cime piene di salsedine e nafta (dicasi ‘cima’la corda di un'imbarcazione). Dicevano che quassù l’acqua è freddissima ma non è mica vero: ho fatto 3-4 tuffi ed è esattamente come a Rimini a giugno, solo più pulita. Cambiano solo i pensieri perché, seppur vicino alla riva, quando sguazzi in queste acque non puoi non pensare a questo http://www.youtube.com/watch?v=UPEHygqoKZU

Fino ad ora l’unico inconveniente dell'oceano è il fondale pieno di sassi tondi e lisci, che a fatica ti fanno stare in piedi. Non che facciano male, ma rendono la camminata un percorso ad ostacoli. Si conferma la sensazione che ho avuto qualche giorno fa: qui non esiste la salsedine, quantomeno non come da noi e anche l'acqua dell'oceano è molto meno salata di quella dell'Adriatico; se ti va negli occhi non brucia per niente e sembra quasi di stare in piscina. Quando si cammina su questa sabbia sembra di camminare sullo zucchero di canna, ha la sua stessa consistenza e colore. A riva ci sono carapaci di animali che sembrano arrivare da un altro tempo, come se l’oceano fosse una porta spazio-temporale sul Paleozoico: in spiaggia ci sono esoscheletri di quelli che probabilmente sono granchi, ma che sembrano in tutto e per tutto delle trilobiti di era preistorica.
La spiaggia è come quella di Fiorenzuola di Focara, stretta ma più lunga, e all’ombra del faro di Edgartown. Ecco, qui c’è l’incontro che ti fa capire come il mondo non è piccolo ma è microscopico. Si parla del più e del meno con la guardiana del faro di Egartown, che si occupa anche di quello della vicina cittadina di Aquinnah, quando spunta uno che al sentire nominare la parola “Rimini” s’intromette nella discussione, dicendo che lui viene da Toronto e che recentemente è stato dalle nostre parti per partecipare alla Nove Colli. Qui a Martha’s Vineyard sto tizio va in giro con la maglia con su scritto Hotel Belvedere di Riccione…

Una roba veramente strana è che qui i gabbiani (enormi) mica stanno al mare, ma sono nell’entroterra, sempre che su un’isola piccola esista un’entroterra. Qualche ‘cocalo’ si vede anche nella zona del porto, ma a bazzicare la spiaggia sono soprattutto falchetti e uccelli tutti rossi che non sono riuscito ad identificare.

mercoledì 20 giugno 2012

Anche Obama ha apprezzato i gelati di Marta la matta


Ancora non ho capito chi era la Marta di Martha’s Vineyard, ma di sicuro non era Marta la matta, perché qui ci è capitata duecento anni dopo che gli Stati Uniti hanno chiamato quest’isola così. Marta la matta si chiamava Martha Mallory ed era nata a New York nel 1880. Dopo essersi laureata ad Harvard incontrò Horace e stettero assieme diversi anni. Ma quando arrivò il 1929 Horace perse il lavoro e la casa e non avendo il coraggio di dirlo a Marta, decise di lasciarle un messaggio e di non rivederla mai più. Marta improvvisamente si trovò abbandonata e con problemi finanziari, ritornò a New York, si chiuse in sé stessa e i bambini del quartiere la prendevano in giro cantandogli “Marta la matta! Marta la matta! Dove vuoi andare, Marta la matta?”
Fu in questo periodo che Marta la matta incontrò Irving, lo sposò e da lui imparò a fare gelati. Quando Irving morì, Marta ripiombò nella depressione e così decise di venire a Martha’s Vineyard, dove prese a fare gelati per la gente durante le feste che c’erano sull’isola. La fama di Marta nel fare gelati crebbe velocemente sull’isola. Lei morì nel 1950, ma in suo onore nel 1971 nacque il Mad Martha’s Homemade Ice Cream, dove pure Obama si è pappato il suo bel gelato l’anno scorso. Tutti quelli che sono venuti negli Usa mi hanno detto che i gelati fanno schifo, che sono fatti di plastica e che sarebbe opportuno scriverci sopra la scritta 'infiammabile'. Ecco, qui a Martha's Vineyard posso dire che non è così, sono tutti buoni e forse il merito di questa differenza sta tutto nell'arrivo sull'isola di Marta la matta, che matta non era. I veri matti sono tutti gli abitanti di qui che alle 7 della mattina con 10 gradi se ne vanno in giro con canottiera, infradito e calzoncini corti e quando bevono un bicchiere d'acqua ci mettono dentro 7-8 cubetti di ghiaccio.In compenso, per pareggiare, nei rubinetti o nelle docce non hanno l'acqua calda, hanno l'acqua ustionante, con tanto di cartello-warning: 'attenzione, qui l'acqua calda è veramente molto calda'. Fare la doccia a Martha's Vineyard è un allenamento da pugili: ti butti sotto il getto di acqua ustionante e lo schivi immediatamente, almeno per venti volte. Solo così riesci a sciaquarti completamente.


Comunque quando Marta la matta arrivò, a Martha’s Vineyard una persona su quattro era sorda a causa di una malattia. C’erano poche famiglie qui, si sposavano solo tra di loro e così la malattia si diffondeva. Fu quando le leggi di Mendel preserò corpo nei primi del Novecento che venne favorita l’immigrazione a Martha’s Vineyard per permettere l’ingresso di nuove persone che, unite con quelle dell’isola, generassero bambini sani. In pochi decenni la percentuale di sordità dell’isola si pareggiò a quella normale degli gli Stati Uniti.

domenica 17 giugno 2012

Ognuno insegue la sua balena bianca. Saluti da casa Achab


La maggior parte delle case sull’oceano a Martha’s Vineyard hanno una piccola balena nera sopra l’uscio della porta perché questa, oltre all’isola che l’isola dello Squalo, è anche una cittadina di antichi balenieri. C’è però una casa che sopra l’uscio della porta ha una balena di un colore diverso, è  bianca. E’ stata la casa di un certo Capitano Valentine Pease, comandante dell’Acushnet, la baleniera sulla quale Melville, l’autore di Moby Dick, è salpato nel 1841. Si dice che il Capitano Valentine Pease abbia ispirato Melville per la figura di Achab e che questa casa al numero 80 di South Water Street, con vista sull’oceano, sia la casa del cacciatore della balena bianca. Qui ci ha vissuto anche l’attrice premio Oscar Patricia Neal.
Prima della casa del capitano Achab c’è il più vecchio albero di pagoda degli Stati Uniti, così almeno c’è scritto. E’ stato portato dalla Cina nel 1837 da un certo capitano Thomas Milton per la sua nuova casa a Martha’s Vineyard. All'anima dell'ornamento da giardinaggio.

Assistere ad una messa in una chiesa americana credevo fosse più strano. Avevo in testa i racconti di chi ha assistito a messe gospel e pensavo di trovare una cosa simile, con canti e cori a squarciagola tipo concerto. In verità in verità vi dico, è stata più o meno uguale alla nostra, a parte lo stringersi la mano che viene fatto all’inizio e a parte la cantante che aveva una voce incredibile, sembrava quella di Edie Brickell in Circle. La messa era dedicata al famoso giornalista Walter Cronkite che aveva casa qui. Quando si esce dalla messa il prete ti aspetta fuori e dà la mano a tutti: io gli ho detto che venivo dall’Italia, anche lui come il tipo fuori dalla biblioteca ha spalancato gli occhi alla Totò Schillaci e mi ha detto: “tu vieni dalla patria del Boss!” Di chi!?? Gli faccio. Il Boss, il Papa! Al che in italiano gli faccio: "diobò ti credo, se non è un Boss lui". Non so cos’abbia capito, comunque era simpatico e come al solito ogni volta che vado a messa (una volta l’anno) sto in pace. Chissà perché.

Torno sul fatto dell’italiano. E’ talmente facile da capire l’inglese che ci ho rinunciato e così ormai alla Morning Glory una cosa sì e una no la dico in italiano. Il bello è che gli americani mi rispondono in italiano pure loro: le parole con le r calcate sono le più gettonate, tipo bagherozzo.

sabato 16 giugno 2012

The dark side of the strawberries


Alla Morning Glory sabato c’è stato il Festival delle fragole. Festival è una parola grossa, c’era un banchetto dove il cuoco che assomiglia a Doc di Ritorno al Futuro cuoceva hamburger per tutti e massimo una cinquantina di persone si radunavano tutte attorno per la loro porzione giornaliera di colesterolo. Il loro arrivo, a dir la verità, sembrava un ricevimento di Obama: tutti macchinoni enormi neri e una macchina della polizia modello Robocop con l’immancabile cattivissimo poliziotto a veicolare i chayenne dentro la fattoria. Ti chiedi chi mai stia per uscire da quei mostri enormi, poi quando si aprono le portiere esce della gente inversamente proporzionale alle macchine che guidano. Sono proprio come le fragole, che ti fregano nell’apparenza: ti fanno vedere sempre il loro lato più rosso e luccicante, poi quando le giri per prenderle sù ti accorgi che dall’altra parte sono tutte bianche o bacate. Non so perché mi è venuto in mente Gianni Togni e il suo luna non mostri solamente la tua parte migliore ma so che questo non è mai applicabile alle fragole. Comunque quando trovo una penna alla fattoria scriverò sui muri in latino evviva le donne evviva il buon vino.
Alla Morning Glory gli spray anti insetti sono le rondini. Non so come facciano, ma quando arrivi, arrivano anche loro, in una flottiglia di almeno quindici unità per ogni persona: ti planano davanti ad una velocità supersonica, a volte senti le loro ali sfiorarti gli occhiali e non sono per niente fastidiose perché sanno quando esattamente  quando virare (comunque speri sempre che tutte siano nel pieno delle loro facoltà visivo-percettive, altrimenti ti si schiantano in faccia). Ti proteggono meglio di uno zampirone e probabilmente a fine giornata non si riescono più ad alzare in volo dalla panza che hanno.
Alla libreria di Edgartown l’altro giorno arriva uno con l’immancabile jeppone enorme nero e si ferma proprio davanti all’ingresso. Chiede informazioni e al mio consueto ‘sorri aim italian aim not spic inglish veri uell” fa due occhi alla Totò Schillaci e incomincia a tessere lodi del nostro paese; dice che c’è stato in vacanza nel 1951 a Palermo e a Genova dove vedeva la gente cantare per strada, parla dell’opera italiana e di quello grosso che cantava la lirica. Chi, Pavarotti? Gli faccio. E lui ‘no no, quell’altro”. Ah, ho capito, e tergiverso e ci riprovo… intendi… Pavarotti! E lui, sì sì, lui lui, Pavarotti! Penso che bere la birra di mattina faccia male.  

Siamo sì a Martha's Vineyard ma siamo anche nella contea di Duke, e siccome l'altro giorno nella strada di casa ho beccato questo
 spero sempre dopo il Generale Lee di trovare anche la fattoria di Bo e Luke!

giovedì 14 giugno 2012

Il surfista di Santa Barbara che vuole conquistare il mondo con il the



 'Attenti agli squali' è un cartello che c’è nelle vetrine di diversi negozi, giusto per ricordare che Edgartown è pur sempre l’isola di Amity. C’è l’ufficio del consiglio cittadino dove il tenente Brody entra per mostrare la foto del pescecane alle autorità locali che non ci credono (Lo Squalo 2), c’è il corridoio che dà alla stanza dove il cacciatore di squali Quint graffia la lavagna (Lo Squalo 1), c’è la stazione di polizia e il negozio da dove esce il vecchietto per segnalare a Brody che alcuni ragazzi gli hanno rovinato la staccionata. Cartelli e piccole insegne ricordano che questa è quell’isola lì. C’è anche uno ‘Squalo Tour’, dove ti caricano su un pulmino e ti portano a vedere tutte le location del film: quello che mi preoccupa è che non c’è scritto il costo. Perché qui certi prezzi sono da ricovero: una pizza 20 dollari, un hamburger 16 dollari, un mojito 15 dollari e non che me ne freghi molto dei mojiti, ma è giusto per paragonare un robino alto mezzo centimetro che si consuma in 2” netti con un costo del genere. Se li possono tenere tutti, i mojiti. Alla Morning Glory metto in scena dei memorabili espropri proletari di fagioli: in un piatto ci faccio stare chili di roba, manco Renzo Piano edificherebbe delle strutture simili che riescano a stare in perfetto equilibrio l’una sull’altra. Devo ancora abituarmi al fatto che qui tutti, ma proprio tutti, ti fanno passare quando vedono che stai per attraversare la strada sulle strisce pedonali, che poi non sono neanche strisce e sono tutte colorate di verde. Non c’è un semaforo, non ho visto un’insegna che sia una della Coca Cola e non ci sono McDonald’s. A volte mi chiedo se ho preso l’aereo giusto e sono realmente in America.

L’altro giorno il nostro vicino surfista di Santa Barbara ci ha offerto due tranci di pizza francese. Evidentemente cercava rogne: che giudizio vuoi che ti dia un italiano su di una pizza francese fatta da un californiano in Massacchussets? Sempre lo stesso surfista di Santa Barbara ci ha parlato del suo progetto megalomane di conquistare l’America con il the: ha preso un the sudafricano e 800 bottigliette di vetro, poi ha fatto l’etichetta con su scritto Boston Tea Party e vuole venderlo in tutti gli States partendo da Martha’s Vineyard. Il the sa di sciroppo per la tosse e l’etichetta è palesemente una copia di quella della Coca Cola, ma lui è convinto che chiamandolo Boston Tea Party conquisterà il Massacchussets e il mondo intero. 

Mi sono chiesto come facciano a mantenere intatte queste case bianchissime in legno sull’oceano in un’isola sferzata dai venti dell’Atlantico e da non poche perturbazioni; dovrebbero essere tutte rovinate. Poi ho visto muratori che sostituivano le assi di legno con altre nuove ed è probabile che questa pratica la facciano molto spesso. Qui la sabbia è a granuli più grandi e non sembra esistere la salsedine. Intendo dire che quando vado a fare due passi alla Darsena della Barafonda torno a casa che sembro Branduardi. Qui no, sembro uscito da uno spot del Badedas. Sono nella libreria di Edgartown in attesa di Italia – Croazia in streaming. Frittatona di cipolla, famigliare di Peroni gelata e rutto libero.

martedì 12 giugno 2012

Dalla libreria pubblica di Edgartown (almeno qui il wi-fi becca), mentre un poliziotto tipo Matlok mi osserva


Bon, la prima settimana è andata. A me più che a Martha’s Vineyard sembra di essere a Covignano, se non fosse per corvi grandi come avvoltoi (capisco perché Hitchock li ha scelti per il suo film), scoiattoli con l’immancabile ghianda , futuri arrosti di coniglio che brucano in giardino e jepponi enormi che per salirci sopra devi fare free climbing: che senso hanno macchinoni come quelli in un’isola come questa dove in soli venti minuti di cammino passi da una giungla nordamericana ad un villaggio  con le case che sembrano le bomboniere dei matrimoni? Ho toccato per la prima volta l’oceano ed è uguale a quello della Barafonda, anche il mare è lo stesso, cambiano soltanto le dimensioni all’orizzonte e chi ci sguazza dentro. Ci sono nove ore di volo d’acqua davanti a me e un po’ di balene attorno all’isola di Nantucket, dove è ambientato Moby Dick e dove l’acqua è molto più profonda e scura: lì ci sono veramente i pescecani a pochi passi dalla riva. A Martha’s Vineyard invece il fondale è basso, anche a molti chilometri fuori dalla costa: ecco perché hanno girato qui Lo Squalo, perché potevano appoggiare sul fondo i macchinari per muovere la bestiaccia. Domenica scorsa ho assistito a Italia-Spagna degli Europei dai gradini della libreria pubblica di Edgartown all’ombra di quelli che sembrano tigli. L’unico ululato qui nell’ultimo mese credo di averlo lanciato io al gol di Di Natale: la gente per strada guardava strana, ma cosa vuoi che capiscano gli americani di che cos’è un gol dell’Italia? L’isola è piena di cervi. Avete presente in Stand by me quando Gordie riposa vicino ai binari della ferrovia e spunta fuori un daino che si ferma a guardarlo? Ecco, qui è così: la stessa fitta vegetazione, gli stessi cervi nascosti all’interno. Alla fattoria si mangia bene, ma mettono tutto in un piatto mischiato assieme, tutto sparpagliato qua e là: primo, secondo, terzo, frutta, non fanno alcuna distinzione. C’è solo un’ora di pausa pranzo, tutti mangiano dove capita e non sanno cosa significhi  stare a tavola. Ah dì. Come dice un vecchio detto, gli americani mangiano per vivere, gli italiani vivono per mangiare. Comunque ci si adatta: visto che il cibo è gratis e comune, mi comporto come il miglior Trinità, soprattutto quando ci sono i fagioli. http://www.youtube.com/watch?v=7Xr5oNTfL1I


Il tabasco è l’odore dell’isola, si sente quasi ovunque all’interno. Il fatto è che non lo producono qui il tabasco, ma credo solo in Pennsylvania, dunque forse qui lo usano anche nei condizionatori d’aria, altrimenti non si spiega tutto ‘sto odore di peperoncino/aceto selvaggio attorno. Il caffè ha un senso solo con l’immaginazione, ma almeno l’altro giorno hanno fatto una parmigiana niente male. I bus sono tutti bianchi e passano ad orari quasi casuali, la gente è tutta spilungona e ingobbita, tipo Stephen King: li hanno stirati da piccoli e poi da grandi forse giocano troppo a golf. Ah, ho letto il Martha’s Vineyard Times, il giornale locale; avessi detto… è come il Fo, tutta pubblicità e due articoli in croce. Mi hanno derubato per un hamburger (5 dollari, li mortacci loro), io li ho fregati con la Barilla e un sugo calabrese, spendendo due lire e mangiando il triplo. La pizza a 20 dollari può stare tranquillamente dov’è, ovvero al Flatbread Company (avessi detto): la mangio quando torno. Alla fattoria c’è gente di tutti i tipi: c’è il cuoco che è il sosia di Doc di Ritorno al Futuro, c’è l’italo-americana calabrese che dice sempre di sì in continuazione (e questo potrebbe essere una cosa positiva…), c’è quello di Boston che tifa i Celtics e che guarda solo i Celtics senza sapere quale sia l’altra semifinalista, c’è la signorina Rottenmeier, ci sono un paio di slavi che si tengono informati sugli europei, c’è quello che razzola tutto il razzolabile possibile che c’è in cucina (io). Si chiamano Deanna, Grace, Wearing, Andrew, Graham, Vuk, Judith, Robert, Jack, Chris, Christian, Baker, Annabell e altri che non mi ricordo il nome. Tutti, tutti, tutti ma proprio tutti hanno un tatuaggio sulla spalla sinistra: alcuni non sono male, sembrano i disegni di Craig Thompson. Qui a Martha’s Vineyard ci sono un sacco di personaggi famosi; io non ne ho visto manco mezzo fin’ora, anche se due giorni fa ho visto uno che sembrava Danny De Vito e che forse era realmente Danny De Vito. Ma poi mi sono detto: chi in vita sua non ha mai visto uno che assomigliava a Danny De Vito? Ecco dunque che forse non era lui ma era l’ennesimo dei suoi sosia sparsi per il mondo.