martedì 10 luglio 2012

Cose umane


Prendo come pretesto questo post del grande Sergio Tavcar, Cose Umane, con il quale condivido soprattutto la storia del telefono (e spiega perché non ho Facebook o soscial netuorc vari), per parlare un po’ di ‘sti amerigani. Corrispondere non vuol certo dire scambiarsi battute scarne senza distinguo né approfondimenti, dire semplicemente mi piace o non mi piace, scrive il grande Sergio, ed è quello che a volte (molte volte) succede con gli amerigani con cui parlo quotidianamente. Lo snocciolamento continuo di “Oh, i like it!” “Oh, cool!” “Oh, awesome!” ad ogni cosa che si dice è sempre un'interruzione nella discussione. Tu dici, ad esempio, “ieri sono andato al mare”, e loro rispondo “Oh, straordinario!”. E poi cosa vuoi rispondere ad una risposta del genere? Non c’è continuità nei discorsi, devi aprire un argomento nuovo, stando ben attento agli attacchi continui di “Oh, i like it!” “Ooh, cool!” “Ooh, awesome!” che ti possono colpire a tradimento in ogni occasione. Alzare le barriere di sicurezza per difendersi dagli attacchi degli “ooh, i like it!” è come spalare l’acqua con un rastrello: s’infilano ovunque. Non è così invece con i serbi (Zeljko, Vuk, Zorana, Nemanja) o chi è metà italiano e metà americano, come Diana che però si scrive Deanna, che è mezza calabrese e si parla anche in italiano. Con loro le conversazioni (comunque quasi sempre in inglese) scorrono via fluide, non stagnano mai e qui penso che agisca la storia o la matrice europea, come se nel Dna ci fosse un chiave d’accesso europea dormiente che si attiva quando si è in un altro continente. Sempre dallo scritto del grande Sergio: Interagire vuol dire per me essere uno davanti all'altro, parlare, fare gesti, guardare una persona negli occhi per capire se è veramente convinta di quanto sta dicendo o sta semplicemente recitando un copione, vuol dire tentare di provocarla sul momento nell'intimo per conoscerla meglio e poi decidere se considerarla un amico con cui confidarsi o semplicemente una persona che non ci interessa.
Altro aspetto, gli Ipod. Qui ce li hanno incollati fisso alle orecchie. Trovo abbastanza inconcepibile correre ascoltando l’Ipod, mi toglie il suono di tutto quello che mi circonda e toglie anche altre cose che gli “ipodisti” poi si perdono. L’altro giorno ero vicino ad un boschetto e sento un fruscio. Aspetto un paio di minuti e ne sento un altro. Poi un terzo. Aspetto ancora e dopo dieci minuti, accortisi che non c’era pericolo, ecco uscire tre daini a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro. Mi giro e vedo gente con l’Ipod che non s’è accorta di niente. Oh, forse non gli interessava neanche vedere tre daini uscire da un boschetto, ma a me sì. E se non stavo attento ai rumori che mi circondavano, chi li avrebbe mai visti? Ancora col grande Sergio Tavcar:
“da quanto appena detto mi rendo perfettamente conto di essere un relitto dei tempi che furono completamente fuori dal mondo attuale. Ma volete sapere una cosa? Come diceva quello: fermate il mondo che voglio scendere. A volte mi sembra di esserne già sceso e la cosa mi riempie di una specie di perverso orgoglio.”