martedì 31 luglio 2012

Fermati e Compra, la Coop de noantri dove se sbagliano i conti non paghi la spesa


Lo sport nazionale serve per capire le budella di un paese. Il baseball, la conquista della casa base, cuscinetto dopo cuscinetto, come il football americano, centimetro dopo centimetro, è la lotta per prendersi le terre dell’Ovest che questo popolo ha fatto alla fine dell’Ottoccento (e in Italia siamo così difensivisti perchè  siamo un popolo che è stato invaso da tutti, sempre in trincea a proteggere i propri confini come Cannavaro). Volevo capire le budella di Martha’s Vineyard anche attraverso lo sport, ma qui sembrano solo correre tutti. E quindi? Quindi mi metto a guardare i volti e in un’isola così scarsamente popolata per centimetro quadrato il maggior assembramento di gente è allo Stop & Shop, Fermati e Compra, la Coop de noantri, che fortunatamente è di fronte a casa nostra. C’è da dire che gli amerigani mangiano solo per buttare roba dentro allo stomaco, fanno la spesa solo una volta a settimana e dunque caricano i carrelli in maniera spropositata. Guardare nel carrello della spesa di un amerigano è peggio che vedere un film splatter. Io mi fido solo della Barilla. Una volta che ho azzardato un sugo non barilliano l’ho sputato dopo due secondi: vallo ad immaginare che gli amerigani nel sugo ci mettono quintalate di zucchero. 

Comunque i primi volti che mi hanno colpito allo Stop & Shop sono quelli appesi ad un muretto vicino alle casse, fotografati con la bandiera americana in posa da reduci del Vietnam. Sono quelli che lavoravano lì e sono passati a miglior vita, intendo che sono morti, non che hanno cambiato lavoro. Alle casse sono sempre in due, uno che fa i conti e l’altro che imbusta: nessuno supera i 20 anni. Mi sono chiesto perché, poi mi sono voltato verso la gente che c’era dietro di me e mi sono ricordato dei carrelli stracolmi. Talmente stracolmi che serve un addetto per imbustare la roba. Far la spesa in Italia è anche fermarsi a chiacchierare due secondi con chi si conosce, ma qui no. Sono focalizzati sull’obiettivo e così l’amerigano in cerca del marshmallow sembra Terminator in cerca di Sarah Connor, non si fermerà finché non raggiungerà il suo scopo. Lo vedi con gli occhi fissi, individua la preda, si dirige lì con il suo carrello in modalità spazzaneve e prende la roba che deve prendere. Missione compiuta, avanti col prossimo obiettivo. Al di fuori dello Stop & Shop tutti ti salutano, dentro, a meno venti gradi, diventano tutti predatori.
La caratteristica dello Stop & Shop è che se il cassiere o la cassiera sbaglia a fare il conto, la spesa non la paghi. Ci vuole dell’abilità nell’individuare lo sbaglio in uno scontrino lungo chilometri districandosi tra sconti e offerte, ma c’è chi ci riesce e ne ha fatta una vera professione, come uno che ci ha spiegato quante volte riesca a farla franca. Per me sceglie appositamente i conti complicati per indurre allo sbaglio e uscirne sempre con la spesa gratis.
Io non ho speranze, entro allo Stop & Shop per prendere solo un sugo, come possono sbagliarsi? E infatti non si sbagliano mai. Davanti allo Stop & Shop vedo uno sui settantanni che sembra chiamare l’autobus e invece fa l’autostop. E’ la prima volta che vedo uno di quell’età fare l’autostop. Io sono troppo vecchio per farlo, prendo l’autobus va.



martedì 24 luglio 2012

Come ho già scritto qualche tempo fa, l’isola di Martha’s Vineyard è una zona protetta


da tutte le industrie in serie che colonizzano l’America: Starbucks, McDonalds eccettera qui sono offlimits e solo ad una piccola catena di gelati, la DQ che credo voglia dire Dancin’ Queen ma forse anche no, è stato dato il permesso di aprire il proprio negozietto sull’isola, ma solo perché è un loculo di pochi metri quadrati e quindi non è per niente invasivo. E’ vietato anche tagliare alberi o quant’altro, dunque moltissime case sull’isola, fuori dal centro cittadino, sono letteralmente immerse dalla vegetazione, che è fittissima e di un verde scuro tipo Foresta Nera. E se sono buie adesso, in pieno giorno e in piena estate, figurarsi in autunno e in inverno quando fa notte prima. Non ci sono cartelli pubblicitari, le insegne dei negozi sono ridotte al minimo. E anche l’illuminazione. A Martha's Vineyard sono preservati anche i vecchi lampioni, sembrano quelli che c’erano a Rimini nel dopoguerra, che poi sono anche gli stessi che ho visto da piccolo, quelli che illumivanano solo con un'ellisse alla base del palo. Tutt’attorno buio pesto. Ora non c’è più quasi alcuna differenza tra il giorno e la notte, Rimini è illuminata ovunque di sera con lampioni supermoderni con led a basso costo e luci tipo a San Siro, ma 20-25 anni fa non era certo così, ancor di più nella Barafonda rispetto a Rimini centro. Il buio era veramente nero, faceva paura andare nel retro non illuminato del condominio, dove si annidavano mille mostri (forte!).Qui ho rivisto quel buio.


Questa foto non è stata scattata in campagna, ma un sabato sera nel centro di Edgartown. Non c’è neanche bisogno che ci sia qualcuno affacciato alla finestra, vero? La mente già lavora per noi e ci aggiunge da sola il personaggio che vuole, oppure anche niente, ma dietro quelle finestre lì succede comunque qualcosa. Ma non si tratta solo di questo. Il fatto è che un buio del genere dà anche un cielo stellato che non avevo mai visto prima, se non al planetario alle elementari, solo che quello era finto, riprodotto sul soffitto. Qui infatti non si vedono solo le stelle, ma si vede anche il pulviscolo stellare tra di esse, anche se purtroppo non è fotografabile (ci ho provato, ma niente, mi ci vorrebbe un telescopio digitale portatile): sembra di vedere l’intera via Lattea e il merito è solo di questo buio che più buio non si può. Il massimo per uno cresciuto a pane e zio Tibia. Quando il wi-fi becca in casa è dunque anche l’occasione giusta per vedere la sera su Youtube i film di Dario Argento degli anni 70: l’Uccello dalle piume di cristallo, Profondo Rosso, il Gatto a nove code, Quattro mosche di velluto grigio, Tenebre, Dèmoni, eccetera. Non fanno certo paura come il buio della Barafonda dei primi anni 80.
Un'altra caratteristica dell’isola sono anche i fili degli impianti elettrici, con le dinamo giganti appese sotto le intersezioni dei pali di legno a forma di “T” e che si possono vedere in qualsiasi film amerigano ambientato negli anni sessanta. Da noi mica ci si accorge quando la corrente passa tra i fili, avviene tutto in silenzio. Qui invece si sente, come un nugolo di zanzare metalliche che ti passano sopra la testa.

sabato 21 luglio 2012

Oggi siamo tornati ad Oak Bluffs per il torneo di caccia agli squali

che accalca sul molo centinaia e centinaia di persone per vedere issati i pescecani su di un trespolo che sembra una ghigliottina. Nelle settimane scorse, come penso tutti gli anni, sono fioccate le polemiche su questo torneo e c’erano sul molo tre o quattro cartelli di protesta su questo divertimento legato all’uccisione di un animale: in acqua c’era uno, avrà avuto 60 anni, con la barba lunga bianca tipo Gandalf che vogava una canoa di protesta, credo fosse un hippy originale, proprio di quei tempi là. Tutt’attorno invece sembrava Montecarlo durante il Gran Premio di Formula Uno: avete presente tutte quelle imbarcazioni stralusso con sopra gente di stralusso che si guarda distratta le corse dalle barche sfoggiando tutto lo sfoggiabile? Ecco, così. Tutti con il loro Energy drink a portata di mano, i vestiti eleganti etc… etc… etc… insomma nulla che possa attirare la mia attenzione, che normalmente si disattiva quando vede una massa di gente tutta uguale, tutta con la stessa pettinatura ,tutta con la stessa massa e pure con la stessa intonazione nel parlare (qui negli Usa si parla solo ad una tonalità, non sembrano avere picchi o variazioni, non hanno una parlata musicale per niente). C’è veramente qualcosa di inquietante nel vedere questa massa di gente che si comporta tutta alla stessa maniera, sembrano tutti usciti da una fabbrica di plastica, tranne un tizio che sembrava quello della Bistefani che fa Babbo Natale e che prima di venire al molo dipingeva sotto il suo portico, e un altro che portava il berretto da reduce del Vietnam.

Oh, arriva la prima barca con lo squalo! Lo speaker biascica qualcosa che non capisco, la folla ulula, passano l’argano a bordo e tirano su la bestiaccia sul trespolo che sembra una ghigliottina, per la pesa. E’ uno squalo volpe: quand’ero alto così e non sapevo ancora leggere mi imparavo tutto sugli squali e sui dinosauri e dunque sono un esperto in materia, ma uno squalo volpe lo riconosce chiunque, è quello con la coda lunghissima. Sale alla pesa e l’equipaggio ulula alle libbre che escono fuori, si scolano l’ennesima birra della giornata e danno credito alle loro magliette che c’hanno la scritta “Ubriaco n°1”, “Ubriaco n°2”, “Ubriaco n°3”, “Ubriaco n°4”. Arriva una seconda barca, ancora la folla ulula, ancora l’argano, un altro squalo volpe, più piccolo del precedente e dunque mi dispiace equipaggio, sarà per un'altra volta perché per ora è in vantaggio la barca degli ubriachi. Ne arriva una terza, questa volta tira su uno squalo mako, testa più appuntita, file di denti affilati come lame distribuite a caso come i bastoncini dello shangai. Anche la quarta ha un mako e poi basta, ce ne andiamo. Nessuno squalo bianco, il vero mostro dei mari che qui mi sa non prendono da una vita perché leggendo il tabellone dei risultati è tutto un mix di squali volpe, mako e magari qualche smeriglio. E allora forse il nome del torneo, Monster Shark Tournament, è l’ennesima americanata, perché qui di mostri non se ne vedono. Ma credo anche che uno squalo di 4 metri sia normale se lo vedi steso su un molo, ma se te lo ritrovi in acqua è molto ma molto ma molto più grande. Gnam.

Sul molo di Oak Bluffs mentre attendo le barche con gli squali. Sono in leggerissimo anticipo

venerdì 20 luglio 2012

Sì sì mo' me lo segno


Forse questa nuova generazione di amerigani qualcosina in più sa, a parlarci si capisce che qualcuno almeno s’informa su quello che succede fuori dai loro confini, ma generalmente la massa resta ancora statiuniticentrica, non sa dove si trovi la Serbia, non sa chi è Fellini e magari credono pure che gli altri continenti girino attorno all’America. Lo capisci quando ci parli perché non ti danno un minimo aiuto nel capire le cose nella loro lingua: quando uno straniero viene in Italia l’italiano lo aiuta facendosi spiegare, parlando semplice o addirittura provando a parlare nella lingua del vacanziero. Ora il tedesco a Rimini ha lasciato il posto all’inglese, ma 20 anni fa quante volte un riminese si sforzava a parlare qualche parola di tedesco per spiegare al crucco di turno come fare e dove andare? Qui in Usa no. Qui esiste solo l’inglese ed esiste solo la legge del ‘o lo capisci, o non lo capisci’. Ma non siamo mica gli americani, che loro possono sparare agli indiani, vacca gli indiani...pum..pam...pum. Comunque a seconda delle zone da dove provengono, gli amerigani parlano in maniera medio-lenta, veloce o in modalità Usain Bolt. Con i primi non c’è alcun problema, con i secondi si capisce l'essenziale, con i terzi è un parto. Parlano talmente veloci che sembra dicano una sola parola tuttattaccata di dieci righe e quando gli dici che non hai capito, loro ti ripetono esattamente quello che hanno appena detto alla stessa identica velocità. ‘Ma allora sei scemo’, ti viene da pensare. ‘Ti ho appena detto che non ho capito e te me lo ripeti uguale?’. Ma niente, non ci arrivano. Esiste solo l’inglese. E così quando dicono “pepepepipipipepepepepepipipipepezizidoyouundestand?”. rispondo come Troisi in Non ci resta che piangere: “sì sì, mo’ me lo segno, non vi preoccupate” http://www.youtube.com/watch?v=eBP9QDSr0HI 

Un'altra roba degli amerigani è la loro combustione interna, credo che vadano a carbone, che la mattina si carichino a badilate di combustibile tipo le fornaci del reparto macchine del Titanic quando il capitano indica di andare a tutta velocità, altrimenti non si spiega perchè girino con calzoni corti, infradito e magliettina a maniche corte con fuori dieci gradi e una pioggerellina battente tipo novembre. Non si spiega perchè ti servano un bicchiere d'acqua con 10 cubetti di ghiaccio, gelata a tal punto che lo stato solido vince su quello liquido e dunque è l'acqua a trasformarsi in ghiaccio e non viceversa; non si spiega perchè sparino l'aria condizionata in modalità Antardide, anche in un posto costantemente fresco come questo. Io in giornate come quelle di oggi mi metto addosso due strati di ogni roba, quasi quasi anche di calzini, mentre in giro qui vedi gente in canotta con l'immancabile bicchiere di brodaglia fumante in mano (ma fare colazione a casa no?). Tra l'altro piove a dirotto e girano senza alcuna copertura, sembrano quasi contenti di bagnarsi tutti. A m'alora gli ombrelli cosa li facciamo a fare?

martedì 17 luglio 2012

Centouno gradi! Oggi fa un po' caldino anche qui


Leggendo il Boston Globe sono finalmente venuto a contatto con le famose paginone di strisce americane ed ho capito perché l’incomparabile Bill Watterson, creatore di Calvin & Hobbes, ha smesso di farle. Gli spazi si sono così talmente ridotti che i fumetti amerigani si sono trasformati in teste che parlano e poco altro, perdendo completamente ogni distinzione grafica e ad un geniaccio del disegno come lui non puoi segargli le strisce con l’accetta. Tra l’altro la mania di trascrivere la calligrafia del fumetto con i caratteri del computer li rovina ulteriormente; possibile che non capiscano che la calligrafia è disegno e ne è parte insostituibile?  Comunque gli amerigani la domenica dedicano quattro pagine piene ai fumetti incastrandoci dentro a modello tetris 25 strisce diverse e in un momento di crisi dei giornali come questo riuscire ancora a riservare quattro pagine giganti per i fumetti, senza dentro alcun tipo di pubblicità, è un bel merito. Sono impaginate alla boia e resto dell’idea che per impaginare la pagina dei fumetti serva uno del campo dei fumetti per dare fluidità di lettura e senso estetico a stili così diversi, però sono pur sempre quattro pagine giganti! Olè. 


Tra le graphic novel ho scoperto anche un autore che non conoscevo, David Small. Mi sono divorato il suo mattonazzo “Stiches” in un’ora lampo e chissà se l’hanno tradotto in Italia perché merita alla grande. Penso che appiccicherò un'amaca nel reparto Fantascienza della libreria di Edgartown, perchè ci sono cose che noi umani in Italia non possiamo ancora immaginare, ma perchè ancora non le hanno tradotte, mica per altro. Oggi è certamente il giorno più caldo dell’estate. Il Boston Globe spara 101 gradi sul titolone a nove colonne. Fahreneit, eh…? Anche la costante brezza dell’oceano Atlantico oggi se n’è andata da un’altra parte e così non si sta. Venerdì a Oak Bluffs c’è la gara di caccia agli squali; ci si piazza sul molo facendo a gomitate tra un botto di gente per vedere le barche rientrare in porto ed issare le prede sul molo. Visto che il torneo si chiama Monster Shark Tournament, speriamo di vederne uno degno di questo nome.

P.S. Tre puzzole (mamma e due cuccioli) sono appena passate sotto la mia finestra. Speriamo che non abbiano mangiato fagioli.

sabato 14 luglio 2012

Il grande amico di Jim Belushi è nostro vicino di casa, mentre il candidato alla Casa Bianca si scatena all’Atlantic


Oggi rientramo dopo otto ore e mezzo alla Morning Glory con un solo unico pensiero: doccia. Arriviamo a due metri da casa quando un pizzetto mefistofelico appare dal suo giardino di casa. E’ lui, ‘Trader Fred’ Mascolo, lo ricordate vero? Ci chiede se gli possiamo dare una mano a postare una piccola barchetta che ha parcheggiato davanti all’uscio di casa. No problem, Fred. Vado dietro a spingere la barchetta e ne leggo anche il nome: Gabriel’s Blue. Olè. Una volta fatto, ci chiede di fermarci per una mezzoretta ad aiutarlo, una mezzoretta che poi diventano due ore: sarebbe da smoccolare a raffica per la giornata lavorativa che si allunga fino a dieci ore e mezza, se non fosse che qui dare una mano significa anche venir pagati. E così il buon Fred, grande amico di Jim Belushi, entra a casa sua (una semi-bettola, sempre meglio comunque del suo negozio), si ripresenta sull’uscio con il suo bel mazzo di dollaroni tenuti insieme da una graffetta dorata che fa molto americano tipo Gei Ar, ci paga e ci offre una Pepsi a testa invitandoci nella sua veranda, e anche questo fa molto amerigano. Tira fuori il cellulare e comincia a mostrarci foto e video di lui e Jim Belushi, di foto di attori come Dan Akroyd, Owen Wilson, Jerry O’Connell e altri e di spezzoni di trailer dove lui ha recitato in piccole parti. Perché Fred Mascolo del Trader Fred’s è anche un attore amerigano (mi ha fatto anche vedere la tesserina, tipo Agis…), anche se detta così è esagerato. Ha recitato in quattro film (ma su Google ne ho trovati solo due), con parti microscopiche, ha una ragazza colombiana da fantascienza e ci ha fatto vedere un articolo del Boston Globe che parla di lui che recita insieme a Jim Belushi nella commedia della CBS “The Defenders” e che recentemente ha avuto una piccola parte nel prossimo film di Belushi, che esce in America ad agosto con il titolo “The Switch”.
E insomma tra una Pepsi e un’altra gli mollo lì anche la richiesta di autografo di Jim Belushi, gli do’ la mia mail e chissà se se lo ricorda degli autografi. Intanto abbiamo incassato un po’ di verdoni non facendo praticamente nulla. Butta via.

A Martha’s Vineyard quando giri per strada ogni cinque minuti ti fai sempre la stessa domanda: “questo l’ho già visto da qualche parte ma non so chi è”. Magari incontri quello che ha fatto una particina in un film famoso, magari incontri quello che hai visto in Italia sui giornali, magari incontri quell’altro che era la spalla di tizio nel film che non mi ricordo quale. Se ho incontrato dei personaggi noti, insomma, non lo so, ma probabilmente sì. Uno che conosciamo l’altra sera ha incontrato all’Atlantic John Kerry. L’Atlantic è praticamente l’unico locale di Edgartown e John Kerry nel 2004 concorreva alla Presidenza degli Stati Uniti contro Bush. Ecco, se lo incontro per strada John Kerry mi viene da dire: “questo devo averlo già visto da qualche parte, ma non so chi è. Probabilmente era quello che faceva l'agente dell'FBI in Ralph Supermaxieroe”. http://www.youtube.com/watch?v=1pdkYWJPgCA

martedì 10 luglio 2012

Cose umane


Prendo come pretesto questo post del grande Sergio Tavcar, Cose Umane, con il quale condivido soprattutto la storia del telefono (e spiega perché non ho Facebook o soscial netuorc vari), per parlare un po’ di ‘sti amerigani. Corrispondere non vuol certo dire scambiarsi battute scarne senza distinguo né approfondimenti, dire semplicemente mi piace o non mi piace, scrive il grande Sergio, ed è quello che a volte (molte volte) succede con gli amerigani con cui parlo quotidianamente. Lo snocciolamento continuo di “Oh, i like it!” “Oh, cool!” “Oh, awesome!” ad ogni cosa che si dice è sempre un'interruzione nella discussione. Tu dici, ad esempio, “ieri sono andato al mare”, e loro rispondo “Oh, straordinario!”. E poi cosa vuoi rispondere ad una risposta del genere? Non c’è continuità nei discorsi, devi aprire un argomento nuovo, stando ben attento agli attacchi continui di “Oh, i like it!” “Ooh, cool!” “Ooh, awesome!” che ti possono colpire a tradimento in ogni occasione. Alzare le barriere di sicurezza per difendersi dagli attacchi degli “ooh, i like it!” è come spalare l’acqua con un rastrello: s’infilano ovunque. Non è così invece con i serbi (Zeljko, Vuk, Zorana, Nemanja) o chi è metà italiano e metà americano, come Diana che però si scrive Deanna, che è mezza calabrese e si parla anche in italiano. Con loro le conversazioni (comunque quasi sempre in inglese) scorrono via fluide, non stagnano mai e qui penso che agisca la storia o la matrice europea, come se nel Dna ci fosse un chiave d’accesso europea dormiente che si attiva quando si è in un altro continente. Sempre dallo scritto del grande Sergio: Interagire vuol dire per me essere uno davanti all'altro, parlare, fare gesti, guardare una persona negli occhi per capire se è veramente convinta di quanto sta dicendo o sta semplicemente recitando un copione, vuol dire tentare di provocarla sul momento nell'intimo per conoscerla meglio e poi decidere se considerarla un amico con cui confidarsi o semplicemente una persona che non ci interessa.
Altro aspetto, gli Ipod. Qui ce li hanno incollati fisso alle orecchie. Trovo abbastanza inconcepibile correre ascoltando l’Ipod, mi toglie il suono di tutto quello che mi circonda e toglie anche altre cose che gli “ipodisti” poi si perdono. L’altro giorno ero vicino ad un boschetto e sento un fruscio. Aspetto un paio di minuti e ne sento un altro. Poi un terzo. Aspetto ancora e dopo dieci minuti, accortisi che non c’era pericolo, ecco uscire tre daini a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro. Mi giro e vedo gente con l’Ipod che non s’è accorta di niente. Oh, forse non gli interessava neanche vedere tre daini uscire da un boschetto, ma a me sì. E se non stavo attento ai rumori che mi circondavano, chi li avrebbe mai visti? Ancora col grande Sergio Tavcar:
“da quanto appena detto mi rendo perfettamente conto di essere un relitto dei tempi che furono completamente fuori dal mondo attuale. Ma volete sapere una cosa? Come diceva quello: fermate il mondo che voglio scendere. A volte mi sembra di esserne già sceso e la cosa mi riempie di una specie di perverso orgoglio.”


domenica 8 luglio 2012

Dopo più di un mese qui ho scoperto che gli autobus sono gratis. Un vero segugio.


Cioè, sono gratis all’interno delle cittadine, mentre quando si va da un villaggio all’altro si paga. Il fatto è che certe cose le dai per scontate e allora mica ti viene in mente di pensare che i bus da un posto all’altro della stessa cittadina si possono prendere gratis: basta fare un segno per strada tipo autostop che il conducente ferma l’atam e ti fa salire. Questo accorciamento dei tempi ha fatto diventare la biblioteca il mio quartier generale nei giorni di riposo, anche perchè quella di Edgartown è la biblioteca ideale, almeno per me. Ci sono 4-5 persone al massimo e puoi veramente immergerti nella lettura, tra l’altro con vista sulla stradina che dà sull’oceano. Lì mi leggo, a tranci, l’ultima fatica del mio idolo Craig Thompson http://www.dootdootgarden.com/ , ‘Habibi’, una graphic novel mattonazzo di 600 pagine. 


 Lì organizzo la giornata che al 90% è sempre mare, anche perchè è a due metri da lì. Lì sono arrivato per la prima volta a contatto col New York Times ed è andato in scena l’atto primo di come smontare un mito in dieci secondi, come il cane Chopper in Stand By Me.
Non solo graficamente non vale neanche lontanamente i giornali italiani, ma s’è pure beccato un cratere colossale nello sport, cannando clamorosamente la notizia di Steve Nash ai Lakers, data invece da tutti gli altri quotidiani disponibili della zona e che si possono leggere in biblio, ovvero il Boston Globe, il Boston Herald e il Financial Times. Tu leggi il New York Times per la prima volta e ti imbatti subito in buco del genere e allora il mito finisce subito e ‘sta cosa rimarrà impressa sempre. I giornali locali ancora peggio: il 5 luglio non mettono nulla sulla parta del giorno prima. Vabè che qui la concorrenza non c'è (sull'isola ci sono un quotidiano e un settimanale), ma almeno due righe scrivicele, no!? Nello sport l’altro giorno c’era la notizia dei risultati di due nuotatori di Martha’s Vineyard agli Assoluti di Riccione, che ci sono stati mesi e mesi fa. Se la prendono comoda con le notizie…  C’è invece la notizia che uno squalo è stato avvistato a pochi metri dalla costa della cittadina di Aquinnah, fortuna che è da tutt’altra parte dove ho fatto il bagno l’altra volta. Devo ancora capire il significato del colpo di cannone che viene sparato sull’oceano nel pomeriggio: poteva essere il segnale di una determinata ora, ma viene sparato alla boia. Un giorno alle 16.30, l’altro alle 15, quello dopo alle 16.45. A caso. Comunque basta che non mirino a me e possono spararlo all'ora che vogliono.

giovedì 5 luglio 2012

La parata del 4 luglio dove sfila anche il giornalista che ha scritto più di 55 articoli sul giornale locale. Avessi detto...




Ieri ho assistito al mio primo 4 luglio americano, con addosso la maglia di Del Piero che fa la linguaccia, il cuore italiano e le tre stelle dei trenta, e sottolineo trenta, scudetti della Juve. Eravamo in pochi a non avere addosso qualcosa di americano: chi le bandierine sventolanti, chi la maglietta, chi la tuba modello Abramo Lincoln,chi le collanine, chi il cagnolino, tutti avevano vestiti a stelle e strisce, edifici compresi, avvolti tutti da stendardi e coccarde bianche rosse e blu. Sembrava l’Italia dopo la vittoria dei Mondiali, anche per quantità di gente che si è riversata nelle strade. Sui giornali dicono che a Martha’s Vineyard ieri sono arrivate 80.000 persone: forse hanno un po’ sparato, ma erano un sacco comunque.
La parata del 4 luglio si è aperta con l’immancabile sfilata militare e qui giù di urla e grida trionfalistiche, che stonavano con i cartelli che inneggiavano alla pace e alla libertà americana... vabbè... libertà e pace...come cantava Guzzanti/Venditti ne Il Grande Raccordo Anulare, "a mettecce na' scritta su un cartello sso' bboni tutti". Comunque ci sono stati carri di tutti i tipi; a me la roba che ha colpito è uno che sfilava con un cartello che diceva: “ho scritto più di 55 articoli per il Martha’s Vineyard Gazette”. Non gli ho detto che, facendo una botta di conti, ne scritti più di 3.000, altrimenti si sarebbe suicidato. Ma qui è così, celebrano di tutto ed è il lato della riconoscenza uno degli aspetti positivi di qui e lo si vede anche alla fine di una giornata lavorativa, dove tutti ti fanno i complimenti e c’è quasi come una sorta di terzo tempo rugbistico dove si condividono le fatiche di una giornata. Qui il merito e la riconoscenza si toccano proprio con mano ogni giorno ed è una cosa che si spera torni ad esserci anche in Italia. Comunque chi per una cosa, chi per un’altra, qui ognuno viene celebrato da tutta la città: sfila la squadra giovanile di calcio che ha vinto il campionato regionale, sfila quella di baseball dell’high-school che magari non ha vinto una partita che sia una, sfila il carro della nuova libreria dalla quale sto scrivendo e che ha aperto poche settimane prima che arrivassi qui. Sfilano tutti. Alla sera poi ci sono stati i fuochi d’artificio al faro di Edgartown. Se dalla parata mi aspettavo esattamente quello che ho visto, dai fuochi mi aspettavo qualcosina di più per essere una festa di questo genere. Bene, ma non benissimo. Ci stavano come il cacio sui maccheroni le frecce tricolori, ma quelle ce le abbiamo soltanto noi. Di foto e video ne sono stati fatti un sacco, anche perchè è stato il primo e probabilmente ultimo 4 luglio che vedo sul suolo americano, ma è sulla via del ritorno a casa, a parata conclusa e mentre tutta la marea di gente stava per lasciare il centro di Edgartown, che è arrivata la foto migliore di tutte.


Bernie Lomax di Weekend con il morto!

martedì 3 luglio 2012

Arriviamo ad Oak Bluffs tramite una manna, due mountain bike apparse all’improvviso che quantomeno ci risparmiano i 7 dollari per il bus (butta via)


Oak Bluffs dista da Edgartown una mezzoretta in bici, tutta fatta in una ciclabile tra boschi e dieci chilometri di vista su una zona dell’oceano chiamata Nantucket Sound, e vorrei anche scoprire perché lo chiamano così e quale sia questo suono di Nantucket (forse quello delle balene?). A Oak Bluffs assisto al rito di iniziazione dei pre-adolescenti di Martha’s Vineyard, il salto dal ponte dello Squalo. Non so da noi quale sia il rito di iniziazione di un gruppo preadolescenziale, forse rubare qualcosa da un negozio quando si hanno circa 12-13 anni e uscirne fuori trionfanti. Qui quelli che sono ancora alle medie si piazzano su un ponte che separa la zona di Edgartown da quella di Oak Bluffs e si buttano sotto in un’insenatura dell’oceano con un salto di una decina di metri, che quando hai quell'età e non hai ancora saltato ti possono sembrare anche centomila. Si chiama il ponte dello Squalo perché qui ci hanno girato una scena del film, quella dove il mostro s’infila nel canale e viene segnalato da una pittrice solitaria che sta lì a disegnare sulla spiaggia. Alcuni non ce la fanno a buttarsi di sotto e stanno sopra per decine e decine di minuti, altri vanno di modalità kamikaze con il salto “a bomba”. Ma tutti loro sono lì, perché qualcosa li chiama: il salto dal ponte dello Squalo qui è una cosa che non si può evitare, come la crescita. O salti o verrai saltato.


Comunque è vero che qui a Martha’s Vineyard ogni cittadina è completamente diversa dall’altra ed ha una sua anima a sé stante: se Edgartown è la zona delle case di legno tutte bianche, quasi tutte appartenute ad ex balenieri, Oak Bluffs è la zona pittoresca, con tutte le case colorate in maniera diversa ed ha una zona portuale molto più movimentata e ricca di gente di differenti estrazioni. Ci sono anche due teatri, uno tipo modello film americani, che a Edgartown non ci sono, e questo la dice tutta. Anche la gente è molto diversa, benché le due cittadine siano separate da pochissimi chilometri: a Edgartown sembrano tutti Richie Cunningham (pelle emaciata e pettinatura da college), a Oak Bluffs sono tutti diversi, ci sono molte più razze ed è una gran bella sensazione da We Are The World, come alla Fiera del Libro di Bologna. A Martha’s Vineyard tutti ma proprio tutti ti dicono “buongiorno” quando ti incrociano e così la mia quantità di good morning giornaliera raggiunge livelli da infiammazione delle corde vocali. Qui, per una sorta di espiazione con il loro modo di mangiare (alla boia), corrono tutti, anche le giovani mamme mentre stanno portando il passseggino aereodinamico. E così corre anche il passeggino e il bambino che c'è dentro diventa una specie di frullato. Comunque finora Oak Bluffs batte Edgartown 10-0 netto.

lunedì 2 luglio 2012

Tipo John Cusak in quel film che non mi ricordo il titolo a diffondere l'inno di Mameli a Edgartown




‘Che il quattro sia con voi’ è stato un po’ troppo alla lettera. Come da tradizione Italia-Spagna è stata vista alla libreria di Edgartown, che siccome era domenica, era chiusa: dunque la postazione era sugli scalini appiccicati alla porta d’ingresso, perché lì il segnale wi-fi va a manetta. Ho sparato il volume al massimo sull’inno di Mameli che così si è sentito in mezza Edgartown, l’ho tenuto sparato per tutta la telecronaca ed ad un certo punto una rossa che probabilmente stava al calcio come Fassino sta al decathlon ci ha chiesto pure  quanto stava. Non gli interessava mica il risultato, secondo me, forse era un messaggio indiretto per dire che il volume l’avevo sparato un po’ troppo alto nella pacifica isola di Amity. Ma vuoi mettere il gusto di diffondere l’inno di Mameli più o meno così, tipo John Cusak in quel film che non mi ricordo il titolo? 


Comunque alla richiesta della furia rossa stava già 2-0 e poi è finita come è finita. Ah dì, avrà vinto anche la Spagna, ma alla Morning Glory tutti tifavano Italia. E gli spagnoli per starci dietro in questo aspetto altro che ticchete-tacchete- tacchete-ticchete: perché qui se dici Spagna non ottieni alcuna reazione, mentre se dici Italia tutti fanno “ooooh” come i bambini di Povia.